Vittime e superstiti del referendum: ma il pallino resta a Renzi

I No nel referendum hanno avuto un primo effetto. Il governo Renzi è caduto come c’era da aspettarsi e l’ex premier non è stato reincaricato. Siccome le Camere a scioglierle deve essere il Capo dello Stato e non ci sono attualmente leggi elettorali omogenee per Camera e Senato, non si può andare a votare nei prossimi quaranta giorni. C’è inoltre attesa per le indicazioni, previste per gennaio, della Corte costituzionale sulla legge elettorale. Le elezioni anticipate, dunque, potrebbero tenersi a giugno o in autunno, a meno che il governo Gentiloni non si riveli più vitale del previsto. In questa situazione di scomposizione/ricomposizione delle forze in campo, chi ha le carte migliori da giocare è però ancora Renzi. Può agire con forza sul destino del Pd, di cui detiene la maggioranza, indicandogli nuovi obiettivi e nuova collocazione. Può ispirare l’azione di governo del fedelissimo e leale Gentiloni, decidendo quando staccare la spina e andare al voto per giocarsi il tutto per tutto. Gli avversari interni ed esterni al Pd – il fronte del No – non hanno ancora un progetto comune. Di conseguenza. Renzi può contare su un vantaggio tattico e dettare il gioco.

Queste le conseguenze immediate della vittoria dei No che di più non poteva ottenere nel corto respiro. Altro è il discorso sul lungo periodo. I No sono uno tsumani sugli equilibri politici e indicano una forte frattura sociale tra politiche di governo e disagi collettivi (il voto dei giovani, dei quartieri popolari, delle categorie meno garantite). Ci si orienta per il ritorno a una legge elettorale proporzionale, forse con un leggero premio di maggioranza alla coalizione (non al partito) vincente. Si chiude così oltre un ventennio di litanie su leggi maggioritarie e semplificazione del sistema politico. Il Pd, principale partito del centrosinistra, è inoltre a rischio implosione mentre sta per avviare la propria fase congressuale. Domina un quesito: Renzi unuesitoRenzi e i suoi avversari riusciranno a convivere ulteriormente, se l’ex premier dovesse rivincere le primarie? Capiremo meglio nei prossimi giorni se c’è aria di resa dei conti in un matrimonio da separati in casa. I riverberi della rottura ridisegnerebbero la geografia sul fronte sinistro della politica: forse un partito socialista con venticinque anni di ritardo da una parte (anche con pezzi di Sinistra italiana) e un partito più spostato al centro dall’altra. Se l’esito fosse questo, si assisterebbe alla fine definitiva del progetto Pd “autosufficiente” voluto da Prodi, D’Alema, Veltroni e Rutelli..

In movimento è anche l’arcipelago dei 5 Stelle, lanciato verso la supremazia dei consensi elettorali: l’obiettivo del governo non è mai stato paradossalmente cosi vicino e così lontano per via della mancanza di alleanze. Sono perciò da seguire con attenzione le prossime mosse di Grillo e company. La destra, dal canto suo, appare ancora divisa tra il centrismo di Berlusconi (disposto a dare una mano per la nuova legge elettorale) e l’intransigenza di Lega e Fratelli d’Italia. Difficile, non impossibile, ricomporre il puzzle.

Come si concluderà il terremoto in corso? La previsione appare allo stato attuale fin troppo facile. Se, prima o poi, andremo al voto con una legge proporzionale, l’unica maggioranza che potrebbe uscire dalle urne è un governo di larga coalizione: Pd-Forza Italia-frattaglie centriste. Una soluzione del genere potrebbe essere inevitabile ma in prospettiva darebbe ulteriore respiro ai 5 Stelle La crisi seguita al referendum è perciò di quelle serie e profonde di cui per ora abbiamo solo le avvisaglie. Mai dimenticare, infine, che gran parte del 68 per cento dei votanti nel referendum non ha rappresentanza.

Aldo Garzia