Visti al Cinema. “Una volta nella vita” della Schaar ci fa capire cosa dovrebbe essere “La buona scuola” …

Credo che nell’ esperienza scolastica di tanti studenti  l’apprezzamento vada a quegli insegnanti  che li hanno aiutati a capire qualcosa di significativo, di importante, che valesse quel sacrificio di attenzione, di ascolto e di studio, qualcosa che avesse veramente una funzione illuminante. Interiorizzare le esperienze, non memorizzarle, capire “il nuovo” è una impagabile prova di maturità significa dare un valore personale agli oggetti, ai soggetti, alla storia personale e collettiva  che la scuola dovrebbe proporre di apprendere agli studenti . Capire vuol anche dire, trovare connessioni, rapporti, agganciare gli eventi, saper riflettere e ascoltare. La comprensione e la consapevolezza dell’insegnante, riguardo agli studenti, dovrebbe mirare alle sfaccettature e all’esaltazione delle potenzialità del singolo elemento,per indirizzarlo verso la scelta delle unità didattiche consone al suo carattere che, se azzeccate, potrebbero diventare materiale per il suo futuro.Gli insegnanti vengono studiati, analizzati, passati ai raggi x dai loro studenti, l’abbiamo fatto tutti, ci siamo spesso dilettati in chiave ironica a farne l’imitazione che ne evidenziava soprattutto i difetti,  ma a volte anche i pregi. Ma qual è il messaggio che arriva da quello che sembrerebbe un gioco innocente, ma che invece è una impetuosa immagine,  anche se caricaturale, della realtà? Si tratta di un vero e proprio messaggio di valutazione, dove, scherzando e in chiave personalissima, si dipingono i tratti comportamentali dell’insegnante, visto dalla posizione privilegiata di chi l’osserva per lunghe ore della giornata e per tanti giorni dell’anno. In buona sostanza gli studenti sono coloro che meglio conoscono i loro professori, sono coloro che li osservano da ogni punto di vista, scherzosamente ne fanno la parodia, ma soprattutto li valutano come persone, ed in particolare come insegnanti. Ed è reale che i professori capaci e carismatici incidano indelebilmente sulle personalità degli studenti. Si tratta di una valutazione condivisa spesso da un’intera classe, che non fa sconti a nessuno.Devo ammettere che “La buona scuola” non è solo il titolo della riforma del governo Renzi (che rimane per molte ragioni solo un titolo) ma,  a dispetto dei santi, a volte prende corpo e non è uno spettro che aleggia,senza risultati. “Una volta nella vita” è il titolo del film che dà voce reale alla buona scuola.E’ quello che ogni scuola dovrebbe offrire, cioè,la miglior scelta per gli studenti. Siamo nella banlieu di Crèteil,a sud est di Parigi, al liceo Lèon Blum, in una classe multiculturale.Una miscela esplosiva di etnie, litigiose, indisciplinate, con raggruppamenti religiosi ben al di sopra della media imposta dal Ministero. La classe crea problemi a tutto il corpo docente e al preside che ,entrando nel merito della valutazione, la ritiene una missione di recupero impossibile. Ma la professoressa di storia, Anne Gueguen, contro il parere di tutti i colleghi, sceglie proprio quella classe, al posto dell’altra gemella, composta da studenti capaci, studiosi,gestibili e disciplinati per partecipare al concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione (CNRD) indetto dal Ministero della pubblica istruzione. L’incontro con la memoria della Shoah avrà un impatto indelebile sulla vita e sul comportamento dei ragazzi ,meno uno, il fondamentalista Islamico (che osserva con disappunto e ostruzionismo). Il film è fuori dalla finzione, è un’esperienza realmente avvenuta. Uno studente di quel liceo, di quella classe,  di quel periodo, Ahmed Dramè, ha contattato la regista Marie Castille Mention Schaar e ha rievocato con lei quell’anno di studio, fornendole la trama per iniziare il film. La sua statura cinematografica è indubbiamente visibile, ma l’ispirazione ricevuta è altrettanto apprezzabile. Vi è una valorizzazione del personaggio della professoressa che dipana la sua meritevole esperienza tra le parole, l’ arroganza, il potere, la verità e l’ostinazione. Senza presunzione lei insegna con successo ai ragazzi a non cadere nelle trappole del silenzio assenso, a dar valore alla verità delle parole e degli eventi, spendendo fatica, impegno, per giungere ad un religioso silenzio quando nel museo dell’Olocausto i ragazzi stessi decidono di non rimandare l’impegno di apprendere la verità, ma di affrontarlo,per dare voce alla memoria storica. Il concorso viene sviscerato, affrontato e vinto, come anche viene raggiunta una identità culturale della classe stessa. C’è un momento in cui viene decretata la vittoria, in cui le ambizioni di partenza vengono realizzate e la forza degli eventi si sprigiona in tutta la sua franchezza. La scuola diventa il luogo di incontro, di ottimismo di accettazione, di dialogo, di studio, di solidarietà e di lavoro, dove l’esperienza, se ben condotta, trova sede di grande merito. Questa è “La buona scuola”.

Maria Grazia Vannini