Strage di Berlino: Lukasz, Anis, Fabrizia, tre vite intrecciate inesorabilmente

L’uomo trovato morto nell’autoarticolato della strage di Berlino era una persona semplice, un lavoratore polacco, aveva premura di rientrare in patria per raggiungere la sua famiglia con l’intento di festeggiare degnamente il Natale. E’ la festività che questo popolo molto credente celebra con maggiore intensità e devozione. Era partito dall’Italia per effettuare una consegna ad una industria Berlinese, trasportava acciaio. Poche ore di lavoro ancora poi sarebbe tornato a casa. E’ stato ritrovato morto, abbandonato e inerme sul sedile posteriore del suo automezzo, ucciso a  coltellate e finito a colpi d’ arma da fuoco. L’’ipotesi che emerge  dalle prime indagini  è che il Tir sia stato dirottato prepotentemente e  che l’autista sia stato costretto a guidare fino a poco prima del compimento della strage. Il terrorista Anis  Armni, pur di portare a termine la missione di morte, lo ha eliminato a sangue freddo, mentre l’uomo che in queste ore possiamo definire un eroe, Lukasz Urban, lottava per cercare di evitare il massacro che poi è avvenuto.

Ora tutti i paesi della Comunità europea sono a caccia di questo assassino, un tunisino di 24 anni, con una sfilza di reati alle spalle, da far impallidire il più efferato dei criminali. La Germania ha istituito una taglia di 100mila euro a chi saprà fornire informazioni utili alla sua cattura. Anis Amri, lui, 24 anni, occhi spietati , sicuramente armato e forse ferito, è il probabile autore ,della carneficina di Berlino. Era sbarcato nell’accogliente Italia, a Lampedusa nel 2011, ancora minorenne si era reso responsabile di aver partecipato all’incendio del centro di accoglienza che lo stava ospitando. Arrestato è stato trasferito prima a Catania poi a Palermo e dal carcere dell’ Ucciardone aveva ricevuto un provvedimento di espulsione.  Nemmeno la sua terra, la Tunisia,  lo rivoleva in seno, fece perdere  le sue tracce ma si trasferì in Germania, i documenti dell’uomo dalle molte identità sono stati ritrovati nella cabina di guida del potente mezzo adoperato per la strage.

12 vittime e una 50ntina di feriti, alcuni in modo grave, il conto della tragedia. Gli agenti della polizia tedesca hanno perquisito due appartamenti nel quartiere Kreuzberg di Berlino, ma non hanno trovato l’attentatore, lo scrive Die Welt, citando fonti investigative autorevoli. Lo immaginiamo aggirarsi come un cane randagio, forse ferito, ma di certo estremamente pericoloso. Si sa che da febbraio, come affermano gli inquirenti tedeschi, si era stabilito nella capitale, nel luglio di quest’anno il governo tedesco gli aveva negato la richiesta di asilo, la Tunisia aveva sostenuto che non si trattasse di uno dei suoi cittadini, e continuava a rifiutare il rimpatrio. La beffa estrema è che i documenti che la polizia tedesca richiedeva con insistenza, per poterlo allontanare dalla Germania, hanno raggiunto Berlino in questi giorni. Tanti quanti sono bastati, perchè mettesse in pratica l’indottrinamento ricevuto in carcere,  portando a compimento la strage. Tra le vittime c’è anche lei, la giovane ragazza Italiana,Fabrizia Di Lorenzo, si trovava li, in quel suggestivo mercatino, doveva acquistare regali per la  sua famiglia. Aveva previsto il suo rientro a Sulmona, il paese dei confetti, da dove era partita con un programma di studio Erasmus, e aveva trovato a Berlino una nuova patria e un dignitosissimo lavoro,f rutto di anni di studio e sacrificio, per lei e per la sua famiglia, ma c’era riuscita. Aveva due lauree e tanti hobby, chiunque la conoscesse ne andava orgoglioso. Era la classica ragazza modello, scaturita da una famiglia che probabilmente le aveva inculcato l’importanza del sapere, il dovere del sacrificio, la responsabilità dell’aiuto al prossimo, la libertà nelle scelte e tanto altro, quale l’importanza di una vita messa a frutto nel migliore dei modi, per ottenere un giusto riscatto a tanto impegno e a tanta determinazione. Era la ragazza carina, solare, perfetta, quella nel mirino delle pietose esternazioni dell’attuale ministro del lavoro Poletti, quello che dice: “Meglio non averli tra i piedi”, al quale rispondo a nome di tutti i genitori, che hanno rinunciato a una parte di vita insieme ai cervelli migliori, quelli dei loro figli, da cui si sono dovuti forzatamente separare, per consentire loro di incontrare il futuro.Tre vite intrecciate inesorabilmente, tanta tristezza, senso di impotenza, ma assoluta tenacia nel richiedere a ogni paese civile  un atto di giustizia.

Maria Grazia Vannini