Le otto del mattino se sulle spalle hai una notte insonne pesano come macigni. E sai che ti aspetta un’altra giornata, nove ore e più del ronzio ritmico della macchina per cucire che va, spinta sulla pedaliera con poca, costante pressione, ad assecondare i tempi che separano la cucitura di un guanto dalla successiva. Ottavio, ma come gli hanno dato questo nome incoerente?, controlla, senza darlo a vedere, che i guanti finiti, poggiati accanto alla ruota che muove il cordone in pelle della macchina, raggiungano l’altezza della pila fissata per ottimizzare il lavoro a cottimo. L’avessero chiamato Cerbero, niente da dire.
Stessi gesti all’infinito, gli occhi sui bordi dei guanti da cucire con precisione millimetrica come chiede il committente milanese fornitore delle pelli, dei contenitori i firmati, perfino di filo resistente per le cuciture. Le dita di Rosa questa mattina hanno poca sensibilità, privata dalla pressione dell’artrosi sui nervi cervicali. La testa è altrove, alla stanza di casa, all’accampamento dove dormono, stretti uno accanto all’altro lei, il padre e la madre. Tutti e due, dopo quarant’anni di esposizione all’umidità della stanza, separata da un muro macchiato vistosamente dalla traspirazione della roccia su cui poggia, sono devastati da tosse senza rimedio e da respirazione faticosa, che peggiora di notte. Rosa fatica a prendere sonno e ne esce ad ogni un colpo di tosse più forte e prolungato. Ha tutto il tempo per maledire lo schifo di vita che si porta dietro da bambina, “’a mala sorte”, il buio di un futuro che sembra destinato a negarle la normalità di giovane donna. Nel pieno della notte si alza silenziosamente e se ne va nel cucinino, chiude la porta della stanza da letto dietro le spalle e i rumori notturni dei genitori diventano sopportabili.
China sulla macchina per cucire, a tratti le si annebbia la vista e stenta a seguire con precisione il filo che salda i bordi dei guanti. Il boss le si avvicina: “Guagliò, oggi non è cosa. Lieve mano, vattenne a’ casa”. Rosa, non fosse un giorno di quelli che scendi dal letto e poggi a terra il piede sinistro, avrebbe stretto i denti e ripreso a confezionare i maledetti guanti della “Nuova Linea”. Oggi no. Il sole, che stenta a infilarsi nello stretto dei vicoli, è comunque un compagno della libertà che l’estranea dalla luce al neon della piccola fabbrica, al terzo piano di uno dei palazzi dei “Quartieri spagnoli” risparmiati dal terremoto dell’80.
Via Toledo, come ad ogni ora del giorno e della sera, è la più popolata concentrazione di anime d’Italia che induce i benpensanti a chiedersi “ma a Napoli non lavora nessuno?”. Lungo il perimetro della Galleria Umberto le botteghe di abbigliamento fanno sognare le donne, sognare perché la realtà dei prezzi è proibitiva. Nel market di informatica Eugenio sistema in vetrina il mini cavalletto che ospita l’ultimo nato di una stirpe a costi proibitivi di smartphone, oggetto del desiderio, appagato da molti grazie a tagli drastici su ogni altro genere di spese. Come rinunciare a più pixel della fotocamera, ad “app” innovative, a forme ultrapiatte, all’inedito dell’impermeabilità?
“Eugenio…” “Ué, Rosa e che ce fai qua?”. “Passavo. Oggi nun fatico”. Un caffè shakerato, un paio di battute di circostanza, in fretta perché lui deve tornare al negozio. “Rosa te vengo a piglià, stasera”.
“E che mi metto?”. Ci pensa mamma Dora. “Avimmo ’a stessa taglia, ti presto ’sto vestito rosso”.
La Panda parcheggia lungo un tornante del parcoVirgiliano, il parco dell’amore, dove le coppie che non si possono consentire altro si appartano in macchina e coprono i finestrini con i giornali. Rosa ha voglia di baciare Eugenio da sempre. Lo ha sognato a occhi aperti cercando la posizione meno scomoda nel letto, che avrebbe bisogno urgente di un nuovo materasso. E’ stato un pensiero costante in mille momenti di noia alla macchina per cucire e ogni volta che finito il lavoro si è allontanata da casa per passare davanti al negozio di Eugenio, per vederlo.
Niente preliminari. Rosa si sente afferrare da braccia forti, prepotenti. Una mano le strappa i primi bottoni del vestito, libera un seno dalla sottoveste, lo stringe fino a farle male. Non c’è difesa e Rosa capisce in un attimo di aver fantasticato ingenuamente su questi momenti, senza riserve, certa di essere innamorata dell’uomo giusto, rassicurata dalla sua correttezza abituale. Prova a resistere alla violenza e sa che Eugenio non si fermerà alle mani che le sono addosso, la spogliano e la picchiano per vincere ogni tentativo di resistenza. Non le resta che piangere, mentre subisce lo stupro. Piange per il dolore di dover convivere in solitudine il trauma della violenza subita senza poterlo condividere nemmeno con la madre. Non denuncerà mai Eugenio, ha paura. Teme si possa pensare che era consenziente, che non le credano.
E’ un giorno come cento altri nella fabbrica di Ottavio, i guanti da rifinire sono sempre lì, un mucchio di cuciture da fare senza sbavature, per seicento euro al mese senza contributi. E c’è il viso stanco, le rughe che disegnano una fitta ragnatela, gli occhi bassi sulla macchina per cucire di Gemma, 75 anni compiuti, guantaia fuori età per mantenere il marito e compensare la sua pensione di quattrocento euro racimolata in pochi anni di lavoro dipendente, per dare una mano al figlio disoccupato con moglie e due figli a carico. Racconta Gemma, con un filo di voce, di “Mario, sposato senza amarlo, per obbedire ai miei genitori. Così ti sistemi mi hanno detto per convincermi e lui mi ha trattato come una serva. Ancora adesso che mi spezzo la schiena, alla mia età, se ne sta in poltrona dalla mattina alla sera, senza muovere un dito, pretende che gli cucini quello che ordina al mattino e biancheria stirata alla perfezione. Mi vorrei ammalare, credemi Rosa. A volte penso di morire nel sonno, di trovare così la pace”.
Incinta di tre mesi Rosa non può nasconderlo più. “Ci penso io”: la madre non ha dubbi. Tutti, nel quartiere sanno che se vuoi liberarti di un figlio indesiderato devi ingaggiare la mammana che ha fatto abortire decine di donne. “Brava è brava”, sussurrano tra loro la madre e la zia di Rosa che ha messo a disposizione la casa. L’imprevisto le smentisce. Alle prese con un’imponente emorragia, la mammana non può che arrendersi. “Subito in ospedale”, dice trafelata. L’ambulanza arriva dopo trentacinque minuti. Troppi. L’emorragia ha la meglio e la corsa al Pronto Soccorso non salva la vita di Rosa.
Eugenio, nel suo negozio di informatica, è alla prese con una ragazza attraente. Sente che “ci sta” e le strappa un appuntamento. “Stasera, qui, alla chiusura del negozio”.
Luciano Scateni
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