Parlare di abuso sessuale infantile,scatena nell’anima di ognuno di noi una sensazione di orrore preciso,aberrante, il più delle volte ci viene da esperienze indirette,ma a volte sono vicine,se ne percepisce l’eco. L’abuso sessuale entra direttamente nella vita dell’individuo che la subisce, impattando violentemente sul corso e sugli eventi della sua esistenza, provocando ferite indelebili e durature. Sono lacerazioni fisiche e psicologiche che variano per gravità a seconda del tipo di violenza, dall’età in cui accade e soprattutto dalla capacità individuale di ricostruirsi. Per abuso sessuale infantile, si intende qualsiasi atto che implichi il coinvolgimento in attività sessuali di un minore da parte di un adulto,o meglio di un mostro.Ed è quello che accadde a lei: Simona Riso,la ragazza il cui nome, ha una strana assonanza con il titolo di un vecchio film neorealista:”Riso amaro”.
…”Vedo un lupo con gli occhi azzurri, che mi fa strada. Se avverte che ho paura, cerca di azzannarmi. E io svengo”… Erano le sue visioni,la sua maledizione. Era stata abusata all’età di 6 anni,il tiranno che la inseguiva, e che le incuteva terrore,era un familiare: lo zio.I sui amici,la sorella, i medici che l’hanno avuta in cura, dopo la sua morte nel 2013, hanno aggiunto racconto, ai racconti. Ricordavano Simona in lacrime,quando riusci’ finalmente a rielaborare il suo lutto,la sua vergogna, durante le terapie psicoanalitiche di gruppo, riuscendo a liberarsi, almeno con il racconto, delle violenze patite da piccola, protrattesi per parecchio tempo,10 lunghi anni. La caverna maledetta era in seno alla sua famiglia, perché lo zio, la molestava anche davanti ad altre persone che guardavano e tacevano. Subi’ molte violenze importanti durante la sua breve vita. Uno stupro in stato di ebbrezza, all’età di 19 anni da parte di un trentacinquenne, e una violenza di gruppo nel 2010 da parte di tre uomini del Marocco, “Il branco” lo fece sotto alla metropolitana Tiburtina. Simona raccontò a uno specialista di avere lavorato come accompagnatrice, e il suo datore di lavoro avrebbe abusato di lei, procurandole una gravidanza indesiderata e costringendola all’aborto. Certe vite non sono per niente facili,quando ogni giorno si rischia di intraprendere un viaggio all’inferno,con biglietto di andata e ritorno.
Il 4 ottobre 2013 i sanitari che l’avevano in cura,per il suo stato depressivo , convocarono sua madre, la donna fece cenno con la testa di essere al corrente della situazione,ma rimandò qualunque chiarimento o spiegazione a tempi da definire, chiudendo seccamente il discorso della violenza.Simona sarebbe dovuta partire per la Calabria, invece il 30 ottobre scelse di morire, o forse fu indotta? Troppo traumatico vivere con un mostro alle calcagna.Il corpo di lei,un corpo giovane di 28 anni, venne ritrovato dalla vicina di casa alle 7 di un triste mattino autunnale,le 6.30, il momento accertato, del tragico volo nel vuoto. Forse era salita lassù, per andare vicino al cielo, al terzo piano della palazzina di via Urbisaglia (a San Giovanni, Roma) solo per respirare un po’, per inspirare quell’ossigeno che sentiva mancarle, spesso la paura la faceva scendere negli abissi della cupezza, il respiro era faticoso,e anche i farmaci che ingurgitava le toglievano il fiato. Doveva prepararsi, al lavoro l’aspettavano, ma si sentiva stordita, svuotata. Quella mattina il dolore era ingestibile,insopportabile, perchè arrivava dal profondo delle sue viscere.Alcuni testimoni ,nei pressi dell’abitazione della ragazza, dichiararono agli inquirenti di aver :”sentito a quell’ora un tonfo” ma di non aver “udito grida di aiuto” e “avendo visto alcuni gatti rincorrersi”, pensarono alla caduta di qualche oggetto. Queste testimonianze sembrarono allontanare l’ipotesi che la ragazza fosse stata oggetto di una aggressione, ma la valutazione è stata delegata allo studio degli esperti, l’indagine si è focalizzata su uno spazio temporale avvenuto tra una telefonata che la ragazza avrebbe avuto, prima di morire con la madre e il tempo della caduta. Un lasso di tempo circoscritto di almeno un’ora,di cui non si sa nulla, e di quell’ora, mancano gli accertamenti di ogni singolo minuto.Due medici del San Giovanni di Roma sono stati indagati per la morte di Simona Riso,quel 30 ottobre del 2013. Avrebbe potuto essere salvata ha dichiarato il Pubblico Ministero, aggiungendo dell’altro. Le ultime novità sul questo caso riguardano loro due, i medici del reparto di pronto soccorso e ginecologia, denunciati dai Carabinieri della compagnia di Piazza Dante, per omicidio colposo, in quanto avrebbero trascurato i traumi derivanti dalla caduta, concentrandosi invece sulla presunta violenza sessuale subita, e gridata dalla ragazza in stato di shock.Simona In punto di morte, lasciò quasi un testamento, dicendo a chi la soccorse, d’esser stata violentata:”Sono stata violentata”… Quelle parole furono udite dal soccorritore ,un mantra recitato all’ operatore del 118, accorso per salvarla, e trasformatosi involontariamente nel depositario della sua confessione, gli rivelò la “sua verità”, prima di chiudere gli occhi per sempre, insieme al suo “Riso amaro”. Quella bambina di molti anni prima, provò a correre, a camminare, a volare, avrebbe forse potuto ispirare a Fabrizio De André la canzone: “Ho visto Nina volare”, tutti i bambini avrebbero diritto ad un’altalena….
Maria Grazia Vannini
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