Storia di Nino, ex collaboratore di giustizia

Senza i collaboratori di giustizia, i cosidetti “pentiti” la lotta contro la criminalità organizzata in Italia, verrebbe combattuta con armi spuntate. Sono stati parte integrante e fondamentale nella storia italiana, dagli anni del terrorismo, quando per merito loro si diede un duro colpo alle reti della criminalità eversiva, e maggiormente lo furono nel contrasto alle mafie fin dall’epoca del “Maxi Processo a Cosa Nostra”. Poi arrivarono negli anni successivi le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Tra poco si celebrerà il ricordo dei due magistrati Falcone e Borsellino che furono brutalmente uccisi cercando di contrastare questo cancro italiano. Fu soprattutto Giovanni Falcone a capire l’importanza delle deposizioni dei pentiti usandole per opporsi al fenomeno massiccio delle azioni mafiose e della criminalità organizzata. Il loro “status giuridico” come l’uso nei processi e nelle indagini, i compensi, la loro protezione e quella delle loro famiglie sono vincolati ad un regolamento speciale sancito da leggi dello Stato. Ma problemi e dubbi su queste tematiche nel corso degli anni non si sono mai dissolti. L’ordinamento giuridico attuale comprende due figure che in realtà non sono molto diverse tra loro ma spesso vengono confuse: il collaboratore di giustizia e il testimone di giustizia. I primi sono appartenuti alla criminalità organizzata e decidono di propria volontà di collaborare con la giustizia; mentre i secondi sono personaggi al di fuori della criminalità, anzi ne sono le vittime, perciò iniziano a testimoniare contro i criminali. Le loro storie sono state raccontate, sono imprenditori, commercianti o lavoratori comuni, che hanno opposto la loro volontà alle regole del potere mafioso, denunciando e rischiando ogni giorno la pelle. In entrambi i casi lo Stato ha l’obbligo di proteggerli. Ma cosa succede se qualche meccanismo del progetto de protezione si inceppa? ” Nino” è un ex collaboratore di giustizia, nel 2006 si è rifiutato di uccidere un magistrato, disobbedendo all’ordine perentorio del clan a cui apparteneva. Dal 2007 al 2013 ha vissuto con il programma di protezione dello Stato che avrebbe dovuto comprendere una nuova identità e l’inizio di una vita diversa. Poi “l’errore” burocratico: le sue nuove generalità sono state trasmesse al comune Foggiano di origine e la mafia lo ha trovato. Da allora si sono susseguiti gli agguati e le minacce a lui e ai suoi familiari. E lo Stato..dov’è finito? Questa è la sua testuale e letterale testimonianza : “Sono un ex Collaboratore di Giustizia regolarmente fuori uscito dal programma, ma il Ministero degli Interni non mi aveva mai comunicato che potevo cambiare le generalità e cosi essere tranquillo con tutta la famiglia.

Fatto sta che dopo aver scontato il carcere e tornato alla vita lavorativa mi sono arrivati i primi segnali di chi avevo accusato di mafia del mio sodalizio di cui facevo parte e che nel ribellarmi per non aver ucciso un Magistrato sono stato condannato a morte dalla Mafia.

Numerosi gli episodi intimidatori. È stata inseguita mia moglie, telefonate anonime sulla rete fissa, telefonate nel condominio dove vivevo per sapere se io e la mia famiglia abitavamo lì, inseguito io stesso e sfuggito a un tentativo di sequestro di persona, quando mi fermarono a bordo di una Lancia rubata. Minacce verbali da mezzi in corsa, ritrovo di proiettili nella mia cassetta delle lettere e per finire, ultimo atto al citofono, due giorni fa quando qualcuno mi ha detto “pentito di merda, devi morire”. Tutto denunciato e messo agli atti che sinceramente credo siano in un cassetto che nessuno mai andrà ad aprire per porre fine a tutto questo. E ora lo Stato mi nega il diritto a vivere.

Recandomi in prefettura e esponendo il mio problema mi venne detto che assolutamente dovevo fare denuncia alle autorità di Polizia che eravamo in pericolo di vita. Tolto questo ostacolo chi doveva tutelarci non fa che mandare al comune di nascita le mie nuove generalità e la mia residenza.

Dopo vi lascio immaginare tra minacce di morte, tentato sequestro, pallottole in buca, inseguimenti e non ultimo il 25 Aprile tentano di falciarmi con un auto sotto casa alle 06,30 che smontavo dal lavoro.

Tutto denunciato e messo a verbale ma la Magistratura e il Servizio centrale di Protezione e il Prefetto ci lasciano ancora nelle mani della Mafia.” Nino. Cosa prevederanno gli eventi della sua vita d’ora in avanti?