Ritratti. Rita Bosco, autobiografia di una persona sorda

“I miei genitori sono udenti e abitavano in un paese: Arignano in provincia di Torino, dove vivevano con i miei nonni paterni che lavoravano come panettieri del paese. Mio papà e mia mamma si conobbero e si amarono ballando insieme sul palco installato al paese per la festa patronale. Mia madre rimase incinta di me nel periodo invernale, mentre io ero nel grembo di mia madre, lei rimase asfissiata alla stufa in camera da letto, mentre dormiva. Mio padre si accorse in tempo per salvarla, vedendola così con un volto color viola aprendo subito la finestra per farle respirare l’aria pura. L’effetto dello spavento o della intossicazione di gas di mia madre secondo mia nonna potevano essere le cause del mio sordomutismo. Gli altri componenti della mia famiglia pensavano diversamente, la causa poteva essere la consanguineità dei cugini primi o secondi di mio nonno paterno, che avevano dei figli sordomuti nei tempi di guerra in un paese vicino Andezeno.Io sono nata il 25 agosto del 1950 ad Arignano(To) ed ho vissuto in una casa di campagna con un pollaio, conigli, maiali e un asino, che tirava il carro per portare il fiemo dai campi al cortile grande, che si trova ai piedi di un castello storico. Prima dei sette anni sono andata all’asilo comunale del paese in mezzo ai bambini udenti e durante la frequenza Suor Angela aveva notato il mio handicap di sordomutismo. I miei genitori non si erano accorti, pensando che fossi ancora piccola. Da quando i miei genitori hanno saputo il mio stato fisico di non udente: mia madre di disperò moltissimo, si sentiva frustrata pensando che io non sarei statta in grado di aiutarla durante il proseguimento della sua vita. Mia nonna paterna mi incoraggiava, mandandomi in un istituto specializzato per l’istruzione ai sordomuti.

.  

Della mia infanzia, la mia memoria comincia a ricordare solo all’età di 7 anni, quando viaggiai con mio padre e mia nonna verso Torino con il camion. Io ricordo l’ambiente del camion, che viaggiava a lungo e lentamente. Ricordo un avvenimento importante: io mi trovavo in un’aula dell’Istituto Lorenzo Prinotti a Torino e vedevo una suora, vestita di grigio e un colletto grande bianco. La suora si chiamava Suor Celestina mi mise un oggetto nelle mie mani, una scimmietta con il tamburo metallico che batteva, mio primo ricordo della prima vibrazione sulle mie mani. L’emozione è stata forte, un ricordo che ha svegliato la memoria d’infanzia. Ho visto partire i miei cari dall’aula. Sono stata ricoverata nell’istituto di specializzazione adatto al mio handicap di sordomutismo. Non sento, non parlo: sono sordomuta. Suor Celestina fu la mia prima logopedista e mi insegnò le prime parole. Mi Ricordo benissimo gli attrezzi di lavoro: un’apparecchiatura che non si trova più e mi dispiace moltissimo. Io vedevo una lampada che si accendeva sull’attrezzatura con i suoi programmi tecnici, quando Suor Celestina apriva la bocca e faceva la “A”, la lampada si accendeva. Io non capivo perchè quando aprivo la bocca anch’io, la lampada non si accendeva; perchè non avevo la voce e la suora prendeva la mia mano la posava sopra la sua gola. Cominciavo a capire per la prima volta la vibrazione della voce sulla gola. Ci volle tempo per poter schiarire la mia voce dopo tanti pianti. Con tanta difficoltà da parte mia e con tanta pazienza da parte di suor Celestina lei riuscì a farmi venire la voce. Io incominciai a leggere le vocali dell’alfabeto dalla bocca della suora per istinto: la lettura labiale contemporaneamente con l’espressione mimica del viso. Una tecnica era quella di leggere le vocali dalle labbra della bocca, con pronuncia lenta e larga: per me è un sollievo”.

Rita Bosco è una persona sorda dalla nascita.  Ora pensionata passa la sua giornata a scrivere e da li nasce il suo primo libro intitolato : LA RICERCA NEL MIO MONDO DEL SILENZIO – autobiografia di Rita, sordomuta di cui come il termine “sordomuta” era la mia prima diagnosi medicale che poi si è evolutata nell’identita di sorda che segna la lis e che parla con gli udenti.

Comincia così “La ricerca nel mio mondo del silenzio –autobiografia di Rita, sordomuta” libro scritto da Rita Bosco per Aletti Editore. Colpisce che l’autrice abbia voluto utilizzare il termine sordomuta, vocabolo depennato ex Legge 95/2006 (“Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi”) e sostituito con “sordo”. È una scelta con cui Rita Bosco ci consegna le sue verità autobiografiche e il suo pensiero sulla condizione in Italia delle persone sorde, a partire dalla prima diagnosi medica con cui le venne attestata la condizione di sordo-muta. Quella bambina che imparava a parlare, si è trasformata in una donna, dopo infinite vicissitudini e sofferenze, molte delle quali dovute anche alla confusione che insiste sulle disabilità sensoriali, così quando le chiedo come vive la sua sordità in un paese, l’Italia, che non ha riconosciuto la lingua dei segni italiana come lingua nazionale, Rita mi risponde: – “Per me essere sorda significa che ho l’handicap sensoriale di udito a tutte e due le orecchie,  vivendo del silenzo e con il silenzio e per mezzo del silenzio perpetuo 24 ore su 24, ogni giorno della mia vita. La Lis non dovrebbe essere la lingua nazionale ma di supporto psicologico e pedagogico per il percorso scolastico insieme alla lingua italiana, ogni insegnante dovrebbe essere bilinguista sia nel parlato che nella lingua dei segni italiana, come un metodo di didattica per i sordi e per quelli che hanno problemi di espressione orale come le persone autistiche – . La sua sordità profonda ha inciso su molti aspetti della sua vita, soprattutto quelli di natura sentimentale, Rita Bosco, ha affrontato una serie di difficoltà, col marito in primis, affetto anch’egli da sordità ma lieve,  e quindi con un’altra cultura. Con pazienza, grazie alla poesia, alla musica e ai viaggi, al coraggio e soprattutto alla madre, cui dedica il suo libro, testimonianza autentica della condizione delle persone sorde. Una madre che l’ha responsabilizzata fin da piccola rendendola autonoma e coraggiosa alla tenera età di dodici anni, pur non avendo, negli anni sessanta tutti gli strumenti culturali per avvicinarsi alla patologia della figlia. Le chiedo dopo aver letto la sua biografia cosa vorrebbe per Rita Bosco oggi: – Vorrei che la legge in Italia fosse più chiara sulla distinzione delle disabilità sensoriali, perché ci sono persone che sono a favore dell’impianto cocleare, altre che non lo vogliono, persone che guidano e non hanno bisogno dell’interprete e sono autonome, tutte queste differenze esistono dagli anni Sessanta. Molte persone sorde si sono dichiarati sordi profondi perché la diagnosi medica richiedeva essere “sordomuti” per accedere alla pensione, per esempio. Queste differenze devo essere chiarite a tutti i livelli, non solo medico-sanitario ma anche sociale, e bisogna studiare la sordità da un punto di vista culturale, dovrebbe essere analizzata in termini di identità, perché di questo si tratta.  – 

Nadia Lisanti

Musica

Uno sguardo profondo

negli occhi di un uomo

è come  una musica.

Un sorriso

è una musica

che dà una dolce rima

nella mia anima assetata

di un grande amore

innocente e dolce.

Rita Bosco