E’ giusto premettere che lo Stato e le regioni hanno il diritto di determinare l’assetto organizzativo delle istituzioni come meglio credono. La Sicilia, per altro, in quanto Regione ad Autonomia Speciale, ricava dal suo Statuto la legittimazione a procedere nella regolamentazione degli enti locali e non dalla Costituzione.
Il fatto è che l’iniziativa del governo regionale siciliano, al pari dell’azione svolta dall’esecutivo nazionale, appare fortemente viziata da contraddizioni e carenze normative, che rendono praticamente inevitabile andare incontro al caos.
Il Presidente della Regione, Rosario Crocetta, appena eletto dichiarò di “aver abolito le Province siciliane” ma a distanza di anni l’unica cosa che è stata eliminata veramente sono i servizi ai cittadini.
Il Bluff dell’abolizione delle Province siciliane. La politica degli annunci di Crocetta, nota a tutti, è tutta un bluff. Le Province siciliane non sono state abolite ma è semplicemente cambiata la denominazione da “province regionali” a “liberi consorzi comunali” così come prevede l’articolo 15 dello Statuto siciliano, mentre di fatto sono stati soppressi gli organi politici elettivi (Presidente, Giunta e Consiglio) sostituiti da commissari nominati direttamente dal Presidente della Regione. I commissari, pagati fior di quattrini (che non ci hanno fatto risparmiare), hanno continuato ad esercitare le medesime competenze e funzioni delle ex Province senza però garantire gli stessi servizi. Tutto questo è stato spacciato come una soluzione capace di risolvere i problemi di inefficienza e gli eccessi di spesa e di burocrazia. Invece, è venuto fuori un caos sbalorditivo dove è palesemente evidente l’incapacità di dare sostanza e contenuto alla Riforma tanta annunciata e ancora non definitiva.
Inoltre, possiamo dire che siamo al paradosso di essere stati la prima regione ad annunciare l’abolizione delle province e di essere oggi l’unica a non avere attuato il riassetto istituzionale. Nel frattempo, le Province sono ancora Commissariate (con una proroga dei Commissari fino al 30 giugno) e mancano i soldi per garantire i servizi essenziali ai siciliani.
Il disegno di legge siciliano dovrebbe “sostituire” le Province in Liberi Consorzi di Comuni, così come previsto dall’art. 15 dello Statuto. Quindi, le nove province non saranno abolite ma cambieranno nome diventando sei liberi consorzi e tre Città Metropolitane (Palermo, Catania e Messina). I nuovi enti, ognuno con un proprio statuto, avranno funzioni di coordinamento come prevede la riforma Delrio ma anche compiti di gestione e potranno acquisire ulteriori funzioni dalla Regione. Presidenti dei Liberi consorzi e Sindaci metropolitani saranno espressione di elezioni di secondo livello, ovvero scelti da sindaci e consiglieri comunali. La giunta sarà eletta dall’Assemblea nel caso dei Consorzi e dalla Conferenza nel caso delle città metropolitane, composta dai sindaci dei comuni. I “nominati” per rappresentare i Consorzi dovrebbero prestare servizio a titolo gratuito ma sono previsti i rimborsi spese riguardanti il vitto, alloggio e l’utilizzo dei mezzi di trasporto. Insomma, un titolo gratuito sulla carta ma che di fatto andrà a “ricompensare” Presidente e Giunta con questi rimborsi spesa.
Lo stato attuale delle ex Province Siciliane. Il pasticcio dell’”abolizione delle province” ha già scatenato le prime reazioni. Il personale, che sta scontando sulla propria pelle le inefficienze e i ritardi di questo Governo regionale, è sul piede di guerra perché oltre a non ricevere lo stipendio è rimasto appeso al filo della speranza attendendo all’infinito una risposta sul proprio futuro.
Nella finanziaria regionale 2016 sono stati stanziati 19 milioni di euro che serviranno a pagare appena gli stipendi di Gennaio ai circa 6 mila e 500 dipendenti delle nove ex Province siciliane. “Solo con le entrate della RC auto – dichiara il vice presidente di ANCI Sicilia Paolo Amenta – le ex Province siciliane pagavano il personale. Lo scorso anno il governo Renzi ha deciso di tenersi il 70 per cento di tale imposta. Quest’anno se l’è presa tutta in attesa che la Sicilia approvi la riforma delle Province”
Le difficoltà finanziarie degli Enti intermediari cancellati e la mancata redistribuzione delle funzioni hanno comportato un peggioramento ed in molti casi il blocco dei servizi erogati ai cittadini, in particolare alle fasce più deboli. Non è stato garantito, per esempio, il servizio di trasporto e di assistenza nelle scuole per i ragazzi diversamente abili. Anche le scuole superiori dovranno fare a meno dei servizi erogati dalle ex Province.
Poi ci sono le strade provinciali che per il 60 per cento sono ormai non percorribili, o percorribili con difficoltà per gli automobilisti.
Nel frattempo il disegno di legge 1070/A, che recepisce i rilievi mossi dal Consiglio dei Ministri alla legge regionale 15/2015 e consente di completare la riforma, non è ancora stato approvato dall’Ars.
Insomma, un quadro devastante che fa il paio con la inconcludente classe politica che sta condannando la Sicilia al peggiore dei destini possibili.
Si risparmia con l’abolizione delle Province? A livello nazionale, secondo l’UPI, l’eventuale Riforma Del Rio a cui si dovrà adattare in larga parte anche quella siciliana, “aumenterà di 2 miliardi la spesa pubblica a causa di alcuni meccanismi che passerebbero da 107 a 1327: da 1 a 14,4 in media per Provincia”. Addirittura anche la Corte dei Conti, che si è espressa su questa Riforma, crede che siano “basse le possibilità di risparmio per gli enti a rischio di confusione amministrativa”. Questo vale anche per la Sicilia che dovrà assomigliare quanto più possibile alla Riforma Del Rio nel rispetto della normativa nazionale in materia di “abolizione” delle Province.
Poi, c’è la questione dei dipendenti delle ex Province a cui si deve garantire il posto di lavoro e quindi lo stipendio. Questi lavoratori di certo non possono essere trasferiti negli Uffici regionali (almeno in Sicilia) in quanto scontano già il peso di personale in esubero e poiché i dipendenti regionali ricevono una retribuzione nettamente superiore a quella riservata attualmente ai colleghi delle assassinate Province.
In quanto a consulenze e incarichi, appare certamente corretto e vero che essi siano spesso “costi della politica”. Ma, per eliminarli o ridurne i costi, non sembra proprio opportuno sostituire le Province con altri Enti (Liberi Consorzi). La strada per risparmiare i costi delle consulenze esterne è una sola: vietarli definitivamente e senza eccezione alcuna, superando, dunque, l’attuale normativa che li ammette.
Pertanto l’iniziativa legislativa siciliana (anche quella nazionale) dimostra un dato oggettivo che tutti ignorano: i risparmi derivanti dall’abolizione o riordino di questi enti sono sostanzialmente irrisori. Mentre non sono noti i costi derivanti dalla riorganizzazione col pericolo che essi possano rivelarsi maggiori dei supposti benefici.
Le funzioni delle ex Province a chi andranno? Rientrerebbero nelle funzioni proprie dei liberi consorzi tutte le funzioni delle ex province, più la pianificazione in materia territoriale, ambientale, di trasporti e di sviluppo economico. Ai Liberi Consorzi e alle città metropolitane andrebbe anche la gestione del servizio sistema di raccolta e smaltimento rifiuti e del sistema di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua, eventualmente assumendo le funzioni e le competenze delle Autorità che li gestiscono attualmente. In questo caso entro due anni dalla riforma il governo regionale dovrà presentare all’Ars un disegno di legge per la modifica della legge regionale 8 aprile 2010, n.9 e un disegno di legge per la disciplina del servizio idrico integrato.
Le funzioni concernenti gli istituti scolastici superiori (didattica ed edilizia scolastica) dovrebbero passare invece ai comuni. Ora, per la programmazione, risulta piuttosto evidente che uno sguardo limitato al confine comunale è deleterio considerato che negli anni in cui le Province erano in vita si cercava di verificare quale tipologia di sviluppo e quale mercato del lavoro esisteva in un’area più ampia, per orientare soprattutto gli istituti tecnici verso gli studi e le competenze adeguate, collocando le strutture scolastiche in fulcri del bacino territoriali capaci di raccogliere le iscrizioni, confrontarsi con le imprese, affrontare l’impatto di migliaia di studenti che giornalmente vanno a scuola.
Più gravi ancora le conseguenze sull’edilizia scolastica. Parte rilevantissima delle spese di investimento delle province riguardavano costruzione e manutenzione delle scuole. Spesa di investimento, significa patto di stabilità. Se si scarica sui comuni la competenza sull’edilizia scolastica, ma senza accompagnare l’idea con una revisione drastica delle regole del patto di stabilità, si ottengono solo due risultati: mandare in dissesto i comuni o bloccare, come accaduto in Sicilia in questi anni con I Commissari, qualsiasi investimento sulle scuole.
Non risulta che questi elementi siano stati affrontati dal disegno di legge.
Non si vuol capire, infatti, che l’abolizione o la riforma delle province deve essere non presupposto, ma conseguenza di un progetto alternativo serio ed efficiente e di una revisione della finanza locale.
Occorre sapere prima e con estrema precisione quali funzioni vadano ai comuni, quali alle regioni e quali ai consorzi. In relazione a questo, è possibile definire la Riforma.
E’ giusto eliminare le Province? Non avrei nulla da obiettare se in conseguenza dell’abolizione delle Province si stabilisse di cancellare del tutto il livello intermedio di governo tra comuni e regioni, passando integralmente il pacchetto di funzioni, competenze e risorse finanziarie ad uno dei due livelli residui. E ancor meno, nulla avrei da dire se tali funzioni e competenze fossero assegnati alla Regione siciliana, considerando che la loro dimensione travalica i confini comunali.
Se l’obiettivo del legislatore regionale (e nazionale), allora, fosse la semplificazione dell’assetto istituzionale e la riduzione dei “centri di potere-spesa”, il fallimento è già insito nella stessa idea presentata. La legge di abolizione delle province in Sicilia e nel resto del Paese non ha alcun obiettivo ponderato, se non quello di illudere il popolo, offrendo una idea distorta della cancellazione delle province. Nella convinzione che basta far passare questo messaggio nell’immaginario collettivo, al netto di tutti i problemi di organizzazione ed efficienza che ne deriveranno, per mantenere ed anzi acquisire consenso.
Valentina Spata
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