Manca solo la dichiarazione ufficiale di guerra, ma il riarmo di maggioranza e minoranza dem è in atto. Forse è prematuro prevedere se gli aspri scontri che da qualche tempo incendiano lo scenario interno al Pd avranno l’esito cruento della scissione, ma è certo che il clima della disputa lo lascerebbe presagire. Poco importa se Bersani, ex segretario che non ha mandato giù il rospo dell’ascesa di Renzi alla guida del partito e del governo, afferma perentorio “Il partito democratico è la mia casa e ci vorrebbe l’esercito per farmi uscire”. È sempre più evidente che nello scacchiere su cui si fronteggiano i dissidenti e i renziani la battaglia ha motivazioni bugiarde. C’entrano poco le opposte vedute sulla riforma costituzionale e la legge elettorale. In palio, se s’indaga con occhio disincantato, nel mirino dello schieramento della minoranza c’è lo scalpo di Renzi, con l’obiettivo di vendicare la marginalità di guru sicuri di dover rappresentare in eterno i vertici del partito. Sull’altro fronte è palese l’obiettivo di marciare spediti in direzione di una prospettiva socialdemocratica edulcorata, integrata da componenti moderate dell’universo partitico, fino a comprendere Alfano e Verdini. E’ presto per prevedere l’esito dello scontro, non è intempestivo commentarlo come l’anticamera del suicidio della sinistra. Per il momento è guerra di nervi. La minoranza è ostinatamente ferma a un “no” pregiudiziale al referendum, ma Speranza e compagni escludono la scissione, Bersani compreso e però respingono al mittente le aperture per la modifica di alcuni contenuti della riforma. Le ostilità si avvalgono alternativamente del prestigio di eccellenze della Carta Costituzionale. E’ la volta del presidente emerito Valerio Onida che impugna il decreto sulla proposizione dei quesiti referendari perché in una stessa scheda, questo sostiene, ci sono oggetti eterogenei e il voto non sarebbe libero. Non siamo addetti ai lavori, ma la domanda è lecita: il sì o il no, in forma paritaria sulla scheda, sono chiaramente riferiti ai contenuti della consultazione? Per Onida no, per suoi illustri colleghi sì, per Dario Fo proprio no, per Roberto Benini proprio sì. La ragione che ci vede d’accordo sull’opportunità di anticipare la consultazione deriva dalla consapevolezza di un mare di emergenze in stand by, finite nel sommerso dal referendum che monopolizza globalmente l’attenzione della politica.
Luciano Scateni
(nella foto in alto Renzi e Bersani)
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