Tornano alla ribalta, anche se come cornice di un evento luttuoso le squadre di calcio e nel caso specifico la Juventus. In effetti questo sport e questa squadra di calcio balzano di frequente alle cronache non per vittorie o scudetti, ma per vicende di presunti contatti o legami con la criminalità organizzata. Raffaello Bucci, un ultrà della squadra a strisce bianche e nere, si sarebbe ucciso gettandosi da uno dei pochi viadotti ancora rimasti in piedi sull’autostrada Torino – Savona nel luglio scorso, senza che si evidenziassero validi motivi per farlo. E’ di alcuni giorni fa la notizia che rivelerebbe che un informatore della polizia di Stato avrebbe appurato che Bucci sarebbe stato un informatore della Digos e del Servizi Segreti, che avrebbe collaborato con la società come infiltrato, collezionando dissapori con “la curva”, ma avrebbe confessato molti dei suoi timori prima di gettarsi nel vuoto. Ora il mistero da chiarire è il dubbio che non si tratti di un suicidio. E’ l’ex compagna che chiede alla magistratura di riaprire le indagini sul caso, forte della deposizione avvenuta in questi giorni da parte di un dipendente dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna. La donna afferma, tramite il suo legale, che le incongruenze in questa vicenda sono troppe a iniziare dalle lesioni all’occhio, alla mandibola e sull’intero corpo di Bucci, incompatibili con quelle provocate dalla caduta che gli è costata la vita, ma assolutamente in sintonia con un pestaggio in piena regola, che però al momento non è attribuibile nei modi e nei tempi ad alcuno. Insomma se c’è un colpevole di omicidio, costui è ancora senza nome. Le parole della compagna dell’uomo sono di ferma convinzione “Raffaello non si è suicidato, semmai è stato indotto al suicidio, non era tipo da buttarsi giù da un ponte, qualcuno l’ha spinto a farlo”. La donna sarebbe stata in vacanza nel momento della morte di Bucci e ha riferito di averlo sentito al telefono la sera prima del presunto suicidio; le avrebbe chiesto scusa per motivazioni che non ha spiegato e lei non è stata in grado di capire. Disse inoltre di non volerne parlare al telefono, ma si intuiva dal tono della voce una forte agitazione e una rassegnazione stanca percepibile. Ma andiamo per ordine con ciò che si sa di lui. Da un anno collaborava con la società Juventina, aveva tenuto il più possibile la compagna all’oscuro dei contorni del suo lavoro, che alla conoscenza di lei risultava poco chiaro. La ragazza è convinta che Bucci volesse proteggerla, tenerla estranea al suo operato; poche spiegazioni anche quando nel 2014 fu picchiato e allontanato da Torino. In quel frangente parlò di forti invidie che con il tempo hanno assunto il profilo di una storia noir. Raffaello Bucci aveva 40 anni, era nato a S. Severo e la sua morte è avvenuta due giorni dopo che la Procura di Torino l’aveva convocato per interrogarlo nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte infiltrazioni mafiose ‘ndranghetiste e sul business derivato dalla vendita dei biglietti per bagarinaggio riferiti alla curva bianconera. La società aveva indicato lui come figura di Supporter ufficiale dell’office e come consulente esterno per il collegamento tra tifoseria e club. A lui venne affidata la gestione dei biglietti per conto di Drughi, uno dei 5 gruppi di maggior spicco del tifo organizzato Juventino. Gestiva e rivendeva a prezzo maggiorato i biglietti agli ultras; questo finanziamento serviva a sostenere il gruppo di tifosi e il merchandising dei simboli di questa parte di tifoseria, inoltre lui fungeva da raccordo per i rapporti tra la società sportiva e le forze dell’ordine. Un ruolo cardine e impegnativo per lui, dopo che gli accertamenti delle forze dell’ordine avevano inferto un duro colpo, traducendo in carcere vari esponenti di dubbia fama del mondo patinato del calcio. Le indagini della magistratura volevano un maggior controllo sulla liceità delle società sportive. Nella primavera 2014 Bucci fece la scelta di allontanarsi, sparendo dalla curva e fu accusato di non curare gli interessi per il gruppo Drughi; si raccontarono i dissidi con i vertici della società e di nuove scalate del gruppo “Gobbi” sostenuti da Rocco e Saverio Dominello, due conosciuti uomini della’ndrangheta, che avrebbe soppiantato la precedente tifoseria. Esistono testimonianze, mai prese come dati di fatto, che considererebbero il suicidio un atto inverosimile. Una donna di cui si conoscono solo le iniziali del nome R.I., interrogata in procura, riferì che, invitata ad un cena a cui partecipavano alcuni boss Calabresi, li sentì dire referendosi a Bucci “lo hanno ucciso… Lo hanno accompagnato in tre su quel ponte, uno guidava. Un mafioso ha pagato gli operai per rendere una testimonianza alle forze dell’ordine, per dichiarare il falso, cioè che l’uomo era solo”. Inoltre non è stato ritrovato, nel momento delle prime indagini dagli investigatori, un borsello da cui Raffaello non si separava mai, cercato anche all’interno della sua auto; successivamente riconsegnato a Gabriella, la compagna di Raffaello, da parte di Alessandro D’Angelo, security manager della Juventus, che disse di averlo ritrovato all’interno dell’auto del compagno. Dunque giallo nel giallo, mistero nel mistero, forse il 40 enne era arrivato al punto di voler depositare una confessione che però non è riuscito a rilasciare? La teoria del suicidio non ha una buona impalcatura e la Digos, nella sua relazione sull’indagine, avrebbe messo in relazione Bucci con personaggi altamente pericolosi e criminali, che erano molto attenti agli affari ma poco inclini alla salvaguardia della vita umana.
Maria Grazia Vannini
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