La situazione non è affatto eccellente. La prolungata crisi economica ha reso impotenti le tradizionali bandiere socialiste di piena occupazione e redistribuzione dei redditi. I riferimenti ai lavoratori salariati sono andati in frantumi a causa di precarietà e mutabilità della condizione di lavoro. Il progetto di unità europea su cui aveva puntato la sinistra fa passi indietro alla velocità di un gambero. Non c’è infine un ripensamento sulle identità e i valori possibili di un moderno socialismo nell’era del digitale e della comunicazione permanente. Da noi in Italia ad aggravare il quadro ci pensa poi l’anomalo Pd, un partito né carne e né pesce: né socialdemocratico, né interamente liberal.
Dalle esperienze più avanzate della socialdemocrazia (Svezia, Danimarca, Germania) e dalle società a capitalismo maturo ci viene consegnato il tema sempre attuale della mediazione tra Stato e mercato, oltre quello – da aggiornare in continuazione – di come si possano perseguire egualitarie politiche di ridistribuzione del reddito e di tendenziale piena occupazione. Da qui il bisogno di ridisegnare un Welfare dei nostri giorni, la conquista più avanzata del secolo scorso. Parte della nostra attuale impotenza ideale nasce inoltre non solo da una realtà in continuo mutamento, ma anche dal fatto che abbiamo abbandonato le armi della critica sociale ed economica. Il tornado del liberismo e la crisi del socialismo (quello “reale” e quello socialdemocratico) ci hanno travolti.
Dalle esperienze più avanzate della socialdemocrazia (Svezia, Danimarca, Germania) e dalle società a capitalismo maturo ci viene consegnato il tema sempre attuale della mediazione tra Stato e mercato, oltre quello – da aggiornare in continuazione – di come si possano perseguire egualitarie politiche di ridistribuzione del reddito e di tendenziale piena occupazione. Da qui il bisogno di ridisegnare un Welfare dei nostri giorni, la conquista più avanzata del secolo scorso. Parte della nostra attuale impotenza ideale nasce inoltre non solo da una realtà in continuo mutamento, ma anche dal fatto che abbiamo abbandonato le armi della critica sociale ed economica. Il tornado del liberismo e la crisi del socialismo (quello “reale” e quello socialdemocratico) ci hanno travolti.
Le politiche di una nuova sinistra non possono tuttavia limitarsi a correggere mercato e spontaneità del capitale. Occorre tornare a interrogarsi sul ruolo delle soggettività e su una critica della presunta oggettività dei modi di organizzazione del capitalismo. La politica che si limita a ridistribuire, con i tempi che corrono, è una buona politica ma certo non è capace di suscitare grandi passioni ideali e grandi obiettivi. Qui si pone il tema della “democrazia” e del suo rilancio dopo la fase del liberismo che la ha attaccata ai fianchi. L’attenzione, in passato, era prevalentemente rivolta all’economia e alla costruzione del welfare. Oggi lo sforzo andrebbe spostato in modo analogo sul versante squisitamente politico delle forme di partecipazione e dei diritti nelle singole società, accompagnandolo alla capacità di proporre la democratizzazione delle istituzioni internazionali (dalla riforma dell’Onu a quella – impossibile? – dei meccanismi di decisione della Banca europea e del Fondo monetario internazionale).
Venendo specificamente all’Italia, il filone sul quale proverei a ripartire è quello che è stato sempre minoritario nella storia della nostra sinistra e che diede vita alla breve stagione del Partito d’Azione: diritti, libertà, cittadinanza in un orizzonte di democratizzazione sociale e istituzionale. Conservano in tale prospettiva suggestione e fascino immutati l’incontro e la collaborazione tra Antonio Gramsci e Piero Gobetti a Torino all’inizio degli anni Venti. Erano uniti nella loro peculiare lettura della storia nazionale (l’autobiografia di una nazione) e delle origini del fascismo. Ai nostri giorni si può riattualizzare quell’antico incontro tra il marxismo più originale della tradizione della sinistra italiana e dei nuovi movimenti con le nuove culture liberal originate dalla società di massa? Si tratta di una sfida teorica e pratica. Ma al di sotto di tale sfida la politica è solo stanca litania buona per i talk show.
Aldo Garzia
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