Marco Vannini, il giovane bagnino di Cerveteri è rimasto ucciso in seguito a un colpo di pistola mentre si trovava in casa della fidanzata la sera del 18 maggio scorso.
Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina con incarico nei servizi segreti, papà della fidanzata, si è subito autoaccusato. Ai magistrati riferisce di una tragica accidentalità avvenuta mentre Marco si trovava nella vasca bagno. Ecco il contenuto del verbale dell’interrogatorio: “Ricordo che la pistola mi stava scivolando e afferrandola con l’indice della mano destra premevo con forza la leva di scatto, il grilletto, provocando l’esplosione di un colpo. Il serbatoio era innestato e vi erano all’interno 12 ulteriori pallottole”..
E’ incredibile che sia un militare a parlare in questi termini, a non saper maneggiare un’arma da fuoco, a non accorgersi che la pistola fosse carica di proiettili.
Le foto della scena del crimine, mostrate dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”, evidenziano come la vasca da bagno fosse perfettamente pulita e non c’è, senza una sola macchia di sangue né all’interno, né sui bordi, né sulle mattonelle intorno.
Eppure non è plausibile che un ragazzo ferito da un colpo di pistola non abbia perso sangue: ciò significa che o la scena del delitto è stata attentamente ripulita, oppure la pistola ha sparato in un’altra stanza dell’abitazione.
Non si comprende, poi, come Ciontoli, che è un militare, possa aver pensato che la pistola fosse scarica.
Sulla calibro 9 che ha sparato non sarebbero poi state rinvenute impronte digitali né tracce biologiche; ciò significa che o la pistola dalla quale è partito il colpo è stata perfettamente ripulita o Marco Vannini è stato raggiunto da un proiettile partito da un’altra pistola.
La procura di Civitavecchia ha iscritto formalmente nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario e dolo eventuale: Martina Ciontoli, fidanzata di Marco, il padre di Martina Antonio Ciontoli, Federico Ciontoli, fratello della fidanzata e la madre di Martina, Maria Pezzillo. A giudizio anche Viola Giorgini, fidanzata di Federico, con l’accusa di omissione di soccorso. Secondo l’accusa, a prescindere da chi abbia ferito a morte Vannini, tutti i presenti in casa sono responsabili della morte di Marco.
L’aspetto più grave della vicenda, riguarda il ritardo con cui sono stati chiamati i soccorsi.
Marco Vannini viene ferito alle 23,20. La prima telefonata al 118 arriva alle 23,40 . Un ritardo, secondo quanto riferito dal Ciontoli, dovuto al fatto che lo stesse preparando per portarlo lui stesso in ospedale.
Al telefono c’è il figlio Federico, che non parla di ferita da arma da fuoco, e chiude la conversazione dicendo che non c’è più bisogno dell’ ambulanza.
Passa circa mezz’ora. Alle 24,06 arriva una seconda chiamata al 118.
Questa volta al telefono c’è Ciontoli, e riferisce di una ferita provocata da un pettine.
Vista la segnalazione, l’ambulanza parte in codice verde, agli infermieri non viene ancora detta la verità.
Il primo che sente parlare di colpo da arma da fuoco è un medico, ma ormai è l’una di notte.
Marco viene trasportato all’ospedale Gemelli di Roma in elicottero; ma è troppo tardi. Il ventenne muore alle 3,10 per shock emorragico.
Sono passate quasi 4 ore dal momento del presunto incidente. È gravissimo che un militare abbia del tutto omesso di riferire al 118 che la ferita fosse dovuta all’esplosione di un colpo da arma da fuoco, impedendo, così, un intervento tempestivo dei sanitari. Gli esiti della perizia medico-legale, disposta dalla procura di Civitavecchia, avrebbe affermato che «una immediata e corretta attivazione dei soccorsi avrebbe evitato, con elevate probabilità, il decesso del paziente».
Sono acora più sconvolgenti, le numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nell’immediatezza dei fatti, grazie anche all’impegno del personale della stazione dei carabinieri di Ladispoli, della Compagnia di Civitavecchia e del reparto investigazioni scientifiche di Roma; dimostrerebbero che tutti erano a conoscenza di quanto accaduto quella notte. I Ciontoli omisero però di dire all’operatore Ares che Marco Vannini era stato ferito da un’arma da fuoco.
Nel video mandato in dalla trasmissione “Chi l’ha visto?” Martina ha appena perduto il suo ragazzo e tuttavia consola il padre, gli accarezza la testa: “E’ andata così eh, mo’ basta…”. Poi piange: “Era destino che morisse”.
La famiglia Ciontoli non dimostra nessun segno di umanità e preoccupazione per la vita del giovane . Tutti gli indagati hanno più volte ripetuto, in sede di interrogatorio, che “è stato un colpo partito per sbaglio” ad uccidere Marco, ma si sono contraddetti a colloquio con gli inquirenti.
Le incongruenze sono tante, ma quello che sconcerta di più è l’ omertosità che porta l’ intera famiglia a mentire subito dopo i fatti , potrebbe svelare una responsabilità di gruppo, che nella storia della Criminologia è legata ad ambienti mafiosi.
ll meccanismo oscuro che regola la famiglia Ciontoli sembra essere governato dall’impulso primitivo dell’unità famigliare a ogni costo. Contro tutte le regole sociali ed il codice penale e senza nessun rimorso per avere reso un inferno la vita di altri genitori, tuttora sconvolti dal dolore e dalle assurde dinamiche che hanno sottratto loro un giovane figlio.
Solo il processo potrà fare chiarezza sui tanti lati oscuri della vicenda.
Wilma Ciocci
(nella foto in alto una fiaccolata silenziosa svoltasi a Cerveteri in memoria di Marco Vannini)
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