Nuovi trend. L’it-aliano e l’it-inglese… Come cambia la lingua dei padri… e l’identità dei figli…

Quando alle superiori si comincia a studiare la letteratura italiana ci si imbatte in questo: Se pareva boves, albo versorio teneba, negro semen seminaba. E’ il noto indovinello veronese (la soluzione, per chi fosse interessato, è colui che scrive). Ma in che lingua è scritto? Non è più latino, non è ancora italiano. E’ lingua in transizione.

Mi è tornato alla mente stamani ascoltando i notiziari alla radio. Domenica si terrà il family day per protestare contro la stepchild adoption. Che lingua è? Itinglese? Quella che tra cinquecento anni parleranno i nostri pronipoti? Così come il Duce negli anni ’30 aveva incaricato la reale Accademia d’Italia di spurgare l’italiano da ogni termine straniero qui si ha l’impressione che il premier abbia insediato a Palazzo Ghigi una commissione di anglisti per tradurre il traducibile (e a volte l’intraducibile).E l’operazione risulta spesso ugualmente ridicola. Ve lo immaginate un alto gerarca ordinare al bar una Codadigallo invece di un albionico Cocktail?. Così apprendiamo che mentre si cominciano a vedere gli effetti del Job-act entra in vigore il Bail-in. Tutto chiaro, no?

Una trasmissione radiofonica ha recentemente proposto di adottare l’inglese come lingua ufficiale della repubblica. Scherzano ma, come dicevano i romani, ridendo castigat mores. Diciamo che l’orgoglio nazionale non fa parte del nostro DNA. Siamo un paese nato male. Riuniti a forza per volontà di francesi e inglese ed affidati ad una dinastia che ha presto dato il peggio di sé: Casa Savoia. Poi il ventennio fascista ha inflitto il colpo di grazia al patriottismo. Il tricolore si sventola con convinzione solo in occasione dei mondiali di calcio. Prima che italiani ci sentiamo milanesi, napoletani, romani. E qui nella fertile Padania, ci raduniamo interno al Carroccio come contro il barbarossa. Anche una lingua è ossatura dell’identità nazionale e la nostra è identità confusa. Come possiamo sperare di fare la voce grossa in Europa se prima di tutto non sappiamo più chi siamo e cosa vogliamo. Una riflessione su queste cose da parte della sinistra non c’è mai stata più per paura di avventurarsi in territori “sensibili” e appannaggio della destra che per una vera vocazione internazionalista. Forse sarebbe ora di farla. Così adottiamo il linguaggio di un triste meeting aziendale. E non si sa nemmeno se dietro non vi sia l’antica volontà delle classi dirigenti di farsi capire il meno possibile Almeno avrebbe più senso. Un tempo i potenti parlavano in latino, oggi in inglese. Ci vogliono forse far sentire come Renzo davanti ad Azzeccagarbugli? Ah, saperlo.Si possono proiettare diapositive invece di slides? Ohibò, no e poi no! E allora avanti col job-act. Qui il nuovo avanza, si cambia verso: dire Legge sul lavoro proprio non fa fino, è troppo antico! Peccato ci sia il rischio che la traduzione vera di Bail-in sia belin, parola che a Genova sanno bene che significhi. Ed il rischio maggiore sia che belin sia ciascuno di noi bombardato da un’informazione prona ai palazzi del potere. (con qualche rara e lodevole eccezione).

Gianvittorio Musante