Nell’era digitale anche la pubblicità diventa social

Nell’epoca del digitale, dove i social invadono la nostra quotidianità, dove il web sembra assegnare una laurea agli utenti trasformando chiunque in un “tuttologo” e dove le mode impazzano fino all’inverosimile, c’è anche qualcos’altro che è destinato a cambiare irrimediabilmente.

Tutto si evolve: società, persone e consumi ed è impensabile che parallelamente a tutto questo non si evolva anche la pubblicità.

Dimenticate quel vecchio stereotipo di pubblicità fatto di testi lunghissimi ed immagini banali: con il web 2.0 cambia tutto.

A cambiare, diminuendo drasticamente, sembra essere soprattutto la soglia di attenzione degli utenti che ora si conformano ad un nuovo tipo di atteggiamento, tipico della nuova realtà digitale, la regola della F: gran parte degli utenti che aprono testi online, articoli di giornale, o anche semplici post su Facebook, tendono a leggere con maggiore attenzione le prime righe, diminuendo il grado di interesse pian piano che si scorre il testo, sino ad arrivare a soffermarsi su un numero sempre inferiore di parole.

Questo nuovo atteggiamento porta, nella maggior parte dei casi, ad evitare a priori la lettura di testi troppo lunghi indipendentemente dal contenuto.

Di fronte a questo, le agenzie pubblicitarie sono state costrette a ridurre ai minimi termini i testi di sponsorizzazione dei prodotti, ed accompagnare a questi immagini accattivanti, sostituendo il più delle volte gli hashtag agli slogan.

Si parla così di Social Media Marketing, che vede trasformare le vecchie logiche di mercato improntate sul prodotto. Infatti non si parla più di produttori e consumatori ma di “prosumer”, cioè di clienti che le aziende devono necessariamente far prendere parte nel processo di produzione.

Nel suo libro “Societing” Giampaolo Fabris, sociologo italiano ed uno dei maggiori esponenti dello studio del consumatore e della pubblicità, descrive questo nuovo consumatore come “consumATTORE”, definendo una nuova attitudine dell’utente moderno nel dialogare, creare contenuti, e criticare duramente quelli proposti dalle aziende se contengono qualche gaffe, e soprattutto nel non sopportare che le aziende continuino a ritenerlo come semplice destinatario del messaggio che riceve senza la possibilità di poter esprimere la sua opinione sul prodotto o sul brand.

Sono molte le operazioni da attuare in una strategia di Social media marketing: vanno dalla misurazione dell’utente all’analisi dei risultati ottenuti verificando se il piano che si sta adottando ha avuto successo oppure se è bene fare dei cambi di rotta.

Molte volte il social media marketing viene percepito in modo distorto: da un lato c’è la convinzione che per attuarlo sia necessario un grande budget e conoscenze specifiche che posseggono le grandi aziende e le multinazionali, d’altro canto si crede che per operare sui social media sia sufficiente pubblicare qualche foto e dei link di tanto in tanto che riportino all’immagine dei prodotti che si vendono.

Entrambe le percezioni sono errate.

Il social marketing infatti, oltre a competenze e risorse il più delle volte riservate alle aziende leader nel settore, richiede anche, e forse soprattutto, creatività e costanza, qualità che sono invece alla portata di tutti, dalle start up alle piccole aziende a conduzione familiare.

Questa nuova forma di marketing non rappresenta solo un cambiamento figlio di un’innovazione tecnologica, che ha messo in tasca ad ognuno di noi uno smartphone in grado di interconnetterci in tempo reale.

Comprende una più generale evoluzione della società, riscontrabile nei suoi nuovi modi di interagire e nella volontà di non essere più solo spettatrice passiva di comunicazioni e news da parte di istituzioni e di aziende, ma di voler interagire e rispondere, contribuendo al successo o fallimento di una campagna pubblicitaria, di un prodotto o semplicemente di una moda.

Simone Rufino