Maggio francese. I giornali non lo scrivono, ma oltralpe scendono in piazza contro il job act “renziano”. Il “lavoro sporco” della sinistra

Il mese di maggio fa brutti scherzi ai nostri cugini d’oltralpe. Così, in Francia, poco manca che prendano la Bastiglia un’altra volta ma sui giornali italiani poco se ne parla. Le prime pagine dei nostri quotidiani sono piene di superflui dibattiti su qualche arguto tweet del nostro amato premier o di qualche sconosciuto onorevole che si gode anche lui quei dieci minuti di celebrità che non si negano a nessuno.

E sapete perché i francesi, che com’è noto quando s’incazzano s’incazzano davvero, sono così incazzati? Perché anche da loro vogliono introdurre una specie di Job Act che almeno hanno il buon gusto di chiamare Loi du travail perché esistono ancora altre lingue oltre l’inglese.

E sapete chi vuole introdurre questa nuova legge? Il governo socialista, spaccato tra quanti vorrebbero introdurre modifiche per calmare la piazza e quanti invece vorrebbero andare avanti a costo di accrescere la galoppante impopolarità.

L’Europa ha già fatto sapere che questa “riforma” deve essere approvata perché le istituzioni europee se le aspettano anzi le caldeggiano. BCE, Fondo Monetario, Banca Mondiale vogliono che pian piano tutte le “zavorre” che gravano sulle imprese spariscano, intendendo con esse la legislazione sul lavoro, la sicurezza sociale, il sistema dei diritti del lavoratore.

E in Francia, come in Italia, preferiscono che il “lavoro sporco” lo faccia la sinistra che dà più garanzie di riuscita e di controllo su sindacati e base elettorale.

E i politici socialisti francesi, come quelli italiani, sanno che se non porteranno a termine il lavoro sarà sempre possibile trovare da qualche parte un quisling , un mariomonti, o chissà chi altro da mettere a capo di un governo di salute pubblica o governo tecnico riformatore o come la fantasia del momento consiglierà di chiamarlo. E siccome tutti i politici del mondo tengono alla loro poltrona più d’ogni altra cosa, si mostreranno zelanti esecutori di quanto concordato.

Sarò pessimista ma già immagino come andrà finire. Il nuovo che avanza avanza come una ruspa sulle macerie di ogni sogno di progresso e non guarda in faccia a nessuno.

E quel che resta della classe operaia andrà ad ingrossare le fila degli elettori della Le Pen, quelli a cui il braccio destro di Juncker dedica stizziti commenti che non avrebbero stonato in bocca a Marie Antoinette, la regina che perse la testa per una ghigliottina.

Perché la sinistra, come il dottor Faust, ha venduto la propria anima alla globalizzazione. Non potendo più essere anticapitalista del capitalismo è divenuta la più premurosa ancella, con tutta quell’esagerazione tipica del neofita che deve dimostrare di essere migliore di quelli che c’erano prima. Solo che il capitalismo non è più quello dei tempi di Carlo Marx, si muove dematerializzato senza volti e frontiere, senza etica e senza morale lui sì davvero internazionalista fino in fondo.

E, da sempre autoproclamatasi alfiere del Progresso, la sinistra vorrebbe piegare tutti ad un modello equalitarista, condito da sensi di colpa pseudo ecologisti, dove non vi siano differenze etniche, etiche, sessuali e così via. Davvero la globalizzazione ha riesumato il fantasma dell’UOMO NUOVO su cui delirarono a lungo gente del calibro di Giuseppe Stalin e Pol Pot. L’uomo globalizzato deve essere un moderato consumatore (il vero spreco deve essere appannaggio di felici pochi) ed accettare supino tutto quello che i saggi padroni (non quelli del Trono di Spade) decideranno per loro. Hanno trasformato i diritti in privilegi e, disponendo del fuoco di fila di media asserviti, non faticheranno a “rieducare” i riottosi. In cambio offriranno “diritti sostitutivi individuali” in un’orgia di individualismo astratto e dai contorni volutamente incerti.

Qualora il popolo non capisse ancora cosa sia il suo bene (il popolo è sempre bue per ogni buon oligarca) si farà a meno del popolo, come previsto dalla costituzione della Boschi.

La gente comune, quella che vive sulla sua pelle il disastro della globalizzazione si rivolge alla “destra” che non può anch’essa essere quella di una volta ma deve mutarsi specularmente alla “sinistra”. E infatti viene bollata come populista e per ciò stesso dichiarata illegittima, come se fosse incapace di partecipare al “gioco democratico” (sic). Il populismo, ma potremmo definirlo opposizione in senso lato, esprime le paure di chi si sente minacciato dall’immigrazione, dalla delocalizzazione, dallo smantellamento progressivo del welfare. Chi sono i populisti? Sono operai, artigiani, piccoli commercianti, impiegati, abitanti delle periferie che vivono sulla propria pelle la fine di un’era. Sanno che la coperta sarà sempre più corta e che dovranno dividersela coi nuovi arrivati. Le loro istanze non sono più rappresentate dalla sinistra che anzi non risparmia loro tutto il disprezzo che un nobile dell’acient regime mostrava per i sanculotti. Si pensa che i partiti populisti possano sì partecipare al voto (siamo democratici noi!) ma non debbano vincere pena il “contagio” che propagherebbero. Siamo sicuri che questa “cosa” possa definirsi ancora democrazia?

G.V. Musante