Questo nostro Paese vive un periodo di sempre più preoccupante conformismo, dove la prima cosa a venir meno è puntualmente la pluralità delle voci e delle opinioni (spesso, tra l’altro, subdolamente mescolate ai fatti, in un mix impuro e indistinguibile). Un conformismo che sta appiattendo le coscienze, limitando la salute democratica della nazione, deteriorando l'”istinto creativo”, allontanando cittadini, rassegnati e piegati all’inevitabile arte di sopravvivere, dal pieno ed essenziale servizio di funzione critica. Una fase storica così probabilmente non si era mai vista dal secondo dopoguerra in poi e persino nelle fasi “padronali” del Berlusconismo al culmine. Difficile attribuire precisamente le colpe di questo stato di cose: certo influì non poco l’intolleranza della politica, rinchiusa in se stessa ormai a livelli barricaderi, nei confronti di uno scambio con l’esterno davvero libero e ad ampio spettro; sicuramente il sistema dell’informazione non seppe opporre al triste andazzo un battagliero e coeso spirito di corpo che lo difendesse da subordinazioni di troppo al potere. Fatto sta che ora ci troviamo ad affrontare una decadenza culturale ed etica nazionale, un’abitudine alla tolleranza della “legge del più forte” che sta mettendo in crisi la credibilità di larga parte di mass media cloroformizzati e uniformati al pensiero dominante. E’ in questo preciso momento che ci accingiamo ad affrontare la nostra nuova avventura editoriale, con la volontà di raccontare Viterbo e l’Italia “a schiena dritta”, senza piegarsi a logiche oscure od opache che dir si voglia, con l’intenzione dichiarata di essere solo dalla parte dei fatti, di un’Italia reale che è stanca di imbonitori smaliziati e di favole a lieto fine, di verità addomesticate e di “sogni italiani” di rinascita tutti da dimostrare, e che ha voglia di verità e di serietà, di un giornalismo indipendente e vigile che non ha paura di denunciare quello che non va e non ha tempo per inventare miti o evidenziare facili slogan pseudo trionfalistici. Questo lo possiamo promettere sin dall’inizio, senza tentennamenti: nella convinzione che questa nostra Italia spesso da operetta e una città come Viterbo, affidata per sciagurata consuetudine da troppi anni ad una classe politica e dirigente di “dilettanti senza vergogna” possano nel tempo ritornare ad essere luoghi vivibili e sempre aperti al confronto dove le giuste tradizioni, la cultura e le migliori abitudini di un popolo, l’effervescenza di teste disinibite e pensanti, trovino la meritata collocazione. Dall’altra parte del guado, infatti, altro non ci sarebbe che una terra secca, arida, da abbandonare al suo destino.
Pasquale Bottone
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