E questa settimana c’è stato il giorno della memoria delle vittime delle foibe. Avrei voluto dedicare un piccolo pezzo alla ricorrenza nell’ambito delle nostre “ore di Storia”. Non ci sono riuscito ma non è detto che arrivare quando l’eco delle tifoserie si è spento non sia in fondo meglio. C’è da notare come anche questo anniversario è passato senza fare poi troppo rumore. Questa, come altre date, si stanno rapidamente usurando. E, del resto, se volessimo fare un giorno della memoria per tutti i poveracci finiti nel tritacarne della Storia 365 giorni non ci basterebbero.
Se proviamo a sovrapporre una carta dei confini naturali d’Italia con una di quelli politici noteremmo che i pezzi mancanti più grandi sono due: l’Istria ed il Canton Ticino. Quest’ultimo smise di far parte del ducato di Milano quando scesero i Lanzichenecchi e fa ormai parte a pieno titolo della Confederazione Elvetica. L’Istria invece ha avuto un destino molto più complesso. Per secoli ha fatto parte della Serenissima Repubblica di Venezia fin quando questa è esistita. Poi, dopo il trattato di Campoformio, con cui Napoleone mise fine alla secolare storia della repubblica marinara, è entrata in orbita austriaca.
Gli italiani di quelle terre, al pari di boemi, ebrei, slavi e altri ancora divennero fedeli sudditi dell’imperial-regio governo che in qualche modo, fino alla sua dissoluzione, garantì una certa qual convivenza tra le varie etnie dell’impero. E non solo a Trieste non pochi ancora rimpiangono i felici tempi di Cecco Beppe. In particolare nella zona istriana, se nelle più grandi città costiere la componente italiana era prevalente sulla slava nell’interno della regione le parti si invertivano. Tutta l’area, che aveva suscitato gli appetiti dei nazionalisti italiani, entrò a far parte del nostro paese solo dopo la fine della prima guerra mondiale e con non poche tensioni, si ricordi per tutte l’impresa fiumana del D’annunzio.
Già si partiva col piede sbagliato tra sospetti e recriminazioni ma fu l’avvento del fascismo a complicare ulteriormente le cose. Fu attuata una politica di italianizzazione forzata con l’estromissione dell’elemento slavo da tutti i posti di potere anche locale. Vennero chiuse scuole e istituzioni culturali, si cambiò persino il nome a molti paesi. Gli slavi si sentirono privati della loro identità ma finché il fascismo fu forte poterono solo mugugnare tra i denti. Ma il fuoco dei rancori incrociati covava sotto la cenere ed il tragico epilogo della seconda guerra mondiale incendiò le polveri.
A Trieste non si fronteggiarono solo tedeschi e fascisti contro alleati e partigiani, c’era una forte componente di partigiani jugoslavi alleati con molti comunisti italiani. Se già di solito una guerra civile si distingue sempre per la ferocia con cui viene combattuta in questa le atrocità furono commesse da tutti quelli che avevano conti da pareggiare. E bisogna dirlo, gli slavi volevano far pagare agli italiani un conto davvero salato. Chi infoibò di più? Chi cominciò per primo? Difficile fare luce su una storiaccia su cui tutte le parti in causa preferivano far calare la cortina del silenzio piuttosto che fare i conti con le loro responsabilità.
Gli italiani alla fine se ne andarono, più con le cattive che con le buone, lasciarono l’Istria. A Roma sorse un quartiere per accoglierli e diventarono scomodi. Comunisti, che avevano le loro dirette responsabilità avendo spesso e volentieri collaborato coi titini, e democristiani, che non erano stati capaci di tutelare gli interessi nazionali in zona preferivano dimenticare e far dimenticare.
I profughi istriani, che comprensibilmente non nutrivano simpatie per la sinistra, divennero una bandiera della destra missina e questo contribuì ulteriormente ad affievolirne la voce. E’ stato un governo di centro destra ad istituire questo giorno della memoria tra le solite polemiche. Eppure quella dei profughi istriani e delle foibe è una storia su cui si dovrebbe riflettere senza pregiudizi di parte.
Quando poi la Jugoslavia, divenuta ormai uno stato inutile, andò in pezzi, gli sloveni, che la loro pulizia etnica l’avevano già fatta, si defilarono subito dal conflitto mentre croati, bosniaci e serbi si massacravano allegramente tra loro.
Gianvittorio Musante
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