L’Ora della Storia. In ricordo di Amadeo Bordiga, comunista critico espulso da Togliatti

Come sapete amo dedicare quest’ora di Storia a narrazioni laterali, ad episodi poco noti, a personaggi che la storiografia ufficiale ha cancellato o raccontato in modo distorto. Ed è ad uno di questi che vorrei dedicare queste pagine, sull’onda dei tronfi trionfi del nostro Matteo. Vorrei parlare di Amadeo Bordiga, il fondatore “rimosso” come direbbe uno psicanalista.

Per i pochi dei miei attenti lettori che non lo ricordassero Amadeo Bordiga fu l’inventore del PCI.

Il nostro nacque a Resina il 13 giugno del 1889 da una famiglia piemontese, benestante trasferitasi al sud. Il padre di Amedeo era professore alla prestigiosa Scuola Agraria di Portici, la madre era una nobildonna fiorentina. Fin qui nulla di strano. Vorrei ricordare che anche Lenin proveniva da una famiglia agiata e così anche Castro ed Ernesto Guevara.

Cresciuto in un clima culturale impregnato di positivismo il giovane Amadeo rifugge dagli studi classici e si laurea brillantemente in Ingegneria e fin da quest’epoca si avvicina al socialismo e collabora con molti dei giornali ad esso ispirati come Avanguardia e La voce di Castellammare.

Nel 1912 partecipa al congresso dei giovani socialisti a Bologna e si mette in luce per un’aspra polemica con Angelo Tasca sul ruolo della cultura nel movimento operaio. Per Bordiga, che è e resterà un’intransigente, la cultura è sempre e comunque un prodotto della borghesia di cui diffidare.

All’epoca, e siamo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, il partito socialista italiano vede accrescere i suoi consensi sia perchè l’industrializzazione contribuisce alla nascita di una classe operaia (almeno nelle grandi città del Nord) sia perché anche larghi strati della piccola e media borghesia guarda con speranza a questa nuova forza politica delusa dal trasformismo giolittiano. E qui le analogie col presente sono a dir poco inquietanti.

Ma quanto più il partito cresce ed acquista potere, soprattutto a livello locale, tanto più vi si infiltrano personaggi che lo utilizzano per propri scopi ed interessi personali.

Per il puro Bordiga questo è inaccettabile e non le manda a dire da Napoli dove ha fondato il Circolo Carlo Marx con Grieco e Lizzari.

Come Gramsci, con cui resta a lungo in contatto, è attratto dal massimalismo di Mussolini (che era direttore de l’Avanti! e di cui apprezzava la capacità dialettica e l’odio per ogni compromesso. Collabora perfino col futuro duce alla rivista Utopia ma la collaborazione e qualsiasi altro tipo di rapporto si interrompe quando, nel 1914,  Mussolini diviene interventista.

C’era tra alcuni socialisti l’idea che la guerra contro gli Imperi Centrali  potesse divenire una guerra che portasse alla vittoria della democrazia e del progresso. Bordiga non è d’accordo e vede nella guerra solo la faccia feroce dell’imperialismo, come scriverà sul foglio Il soldo del soldato.

La fine della Grande Guerra  porta con sé la vittoria della Rivoluzione Bolscevica, alla quale il nostro guarda subito con simpatia.

Molti sono i delusi che si aspettavano dalla vittoria un miglioramento economico e delle condizioni di lavoro ed il Partito Socialista diviene il primo partito del Regno. Crescono iscritti e parlamentari ma anche i dissidi interni. Le molte anime del partito non possono più convivere tra loro da posizioni così diverse mentre molti cominciano a sognare “di fare come in Russia”.

Al noto Congresso di Livorno, nel 1921, Bordiga e Gramsci guidano la scissione. Nasce così il Partito Comunista d’Italia. Gramsci da Torino con la rivista Ordine Nuovo e Bordiga da Napoli danno vita ad un partito che per molti anni segnerà la storia di questo paese.

Ma il 1921 è anche l’anno della Marcia su Roma ed il nuovo capo del Governo, vecchia conoscenza dei due, non sarà troppo tenero nei loro confronti.

Bordiga è arrestato nel 1923 ma ha fatto in tempo a recarsi a Mosca dove ha ottenuto l’apprezzamento di Bucharin e Stalin che forse lo preferirebbero a Gramsci. Ma l’inflessibile Bordiga non sa tenere la lingua a freno e non esita a polemizzare con Stalin sulla nota questione del socialismo in un paese solo. La posizione di Bordiga per molti versi ricalca quella di Trotzki e si dimostrerà una posizione “perdente” anche se il nostro riesce ad intravedere con anticipo a quali orrori porterà il Terrore Staliniano.

Sempre più emarginato nel partito comunista Bordiga ne viene espulso nel 1930 per ordine di Togliatti che si piega ai voleri di Stalin.

Il duro e puro Bordiga rifiuta la linea della Terza Internazionale e poi tutte le successive svolte togliattiane ispirate a realismo politico, ma che il nostro sente come tradimenti della causa per la quale ha lottato tutta la vita.

Nel dopoguerra, sempre più ghettizzato, non può partecipare alla vita politica e si dedica alla professione di ingegnere nella sua Napoli dove infine è ritornato.

Morirà a Formia, dimenticato da tutti, il 25 luglio del 1970.

Come tutti gli ostinati intransigenti ha avuto i suoi torti e le sue ragioni. Si sa che la Storia la fa chi sa accettare compromessi ma sarebbe bene avere sempre dinanzi quale sia il limite di compromesso che non preveda lo svendersi dell’anima e delle proprie convinzioni. L’onesto Bordiga lo conosceva e pagò il prezzo della propria coerenza.

Oggi che abbiamo di fronte il desolante spettacolo quotidiano della sinistra delle lobby, viene da rimpiangere uomini siffatti.

In ogni caso il nome di Bordiga scomparve dalla storia del PCI perchè su di lui calò la damnatio memoriae togliattiana. Una ragione di più per ricordarlo in queste pagine.

Gianvittorio Musante