L’Ora della Storia: Hermann Goering, il “cacciatore d’arte”

Sulla scia del bell’articolo di Maria Grazia Vannini (leggilo qui), approfondiamo la personalità ambigua del Reichsmarshall Hermann Göring, numero due di quella tremenda ideologia politica, il nazismo, che mise a ferro e fuoco l’intera Europa degli anni ’40. La ricostruzione del risorto impero germanico, il Terzo Reich, nei piani di Hitler doveva passare, oltre che per una rivincita contro il mondo artistico tedesco, attraverso la creazione di una nuova grande identità storica testimoniata da una genesi artistica capace di sostenere culturalmente l’idea della purezza ariana e, quindi, della sua superiorità rispetto al resto degli esseri umani. I vertici nazisti sposarono pienamente questa necessità, aggiungendo, però, anche le proprie velleità “rinascimentali”, in pratica sognando di accumulare arte e bellezza per dar lustro al nome della propria stirpe. Göring fu uno dei maggiori protagonisti di questa caccia all’arte che, tra l’altro, nel 1938 entrò in una nuova e pericolosa fase progettuale dopo la visita diplomatica dei nazisti a Firenze ad inizio maggio. Fu proprio durante quella kermesse diplomatica, quando l’Italia sfoggiò i propri tesori per impressionare i tedeschi, che i piani di saccheggio, da compiere nel nostro Paese in senso più strettamente politico rispetto alle spoliazioni dirette che stavano già coinvolgendo gli ebrei, mutarono pericolosamente includendo l’arte rinascimentale e quella moderna, rispetto all’iniziale idea di creare solo una plausibile storia classica del rinnovato Impero germanico nazista. Hermann Göring, quindi, insieme a Hitler, tra le varie attività politiche e militari, si fece sempre carico di questa idea di arte quale espressione di potenza personale e nazionale. Non a caso, se il Fuhrer già nel 1938 aveva ottenuto, sostanzialmente in modo illegale con l’aiuto dei vertici fascisti, il famoso Discobolo Lancellotti, una bellissima copia marmorea dell’originale statua bronzea di Mirone, il numero due del nazismo acquisiva nel 1941 importantissime opere italiane tra cui la Leda e il cigno del Tintoretto e la Madonna dell’Umiltà di Masolino da Panicale. Ma più del suo capo, Göring fu sempre proteso al collezionismo personale con grande spregiudicatezza, a tal punto che durante la guerra arrivò senza problemi a dichiarare apertamente che «…l’arte è una delle mie debolezze […] amo vivere nel lusso e ho un temperamento talmente artistico che i capolavori mi fanno sentire vivo…», ma soprattutto che «…prima lo si chiamava saccheggio, ma oggi queste operazioni sono diventate più umane. Ciò nonostante io intendo saccheggiare, e intendo farlo fino in fondo…». Un temperamento quindi chiaramente votato all’acquisizione di potenza, al sentirsi vivo grazie al valore intrinseco dell’arte e al potere che deriva dal possesso di opere di valore universale, proprio come i signori rinascimentali. Il grande cacciatore d’arte nazista, catturato dagli Alleati e processato a Norimberga, prima della tragica fase discendente del Terzo Reich riuscì a creare una collezione degna di un museo. Se nel 1939 Göring possedeva solo 200 opere d’arte, al momento del suo arresto gli Alleati inventariarono più di 2000 oggetti, tra cui 1375 quadri, alcuni dei quali, di elevatissimo pregio, usati come capoletto nel suo Castello di Carinhall in Brandeburgo. Oltre ai dipinti, il Reichsmarschall aveva però accumulato anche 250 sculture, più di 100 arazzi, circa 200 pezzi di mobilio antico, vetri mosaicati, tappeti persiani e centinaia di piccoli oggetti preziosi di grande rilevanza artistica. Purtroppo, diversi oggetti della collezione provenivano anche da quella barbara operazione di saccheggio iniziata a Montecassino, trafugati, quindi, dai tesori di Napoli. Per assurdo, durante il processo, Göring non ammise mai questa sfrenata caccia ai capolavori dell’umanità, e si limitò ad affermare, tra l’incredulità dei presenti, di aver trattenuto per sé solo la statua di un santo,  «…ritrovata tra le rovine di Cassino […], un oggetto insignificante il cui valore è tra 50 e 60 marchi e non è un’opera d’arte…». Dinanzi alle proprie responsabilità il grande cacciatore, come anche i semplici cittadini tedeschi che furono costretti a passare davanti le fosse comuni che, dicevano, di ignorare, si mostrò per quello che ogni essere umano è davanti alla paura della morte: una semplice scimmia nuda (scusate la citazione sanremese!).

Parti di questo articolo sono estratte dal mio libro “La guerra dimenticata“, pubblicato ad ottobre 2016 (ISBN  978-88-6682-799-3), e attualmente in tour lungo la nostra bella penisola. Informazioni, scheda tecnica, articoli e interviste, trailer e curiosità su www.icadutidipietra.it

Processo di Norimberga (nella foto). Il gerarca, e numero due del regime nazista, Hermann Göring è nel banco degli imputati, il primo in alto a sinistra, durante il processo per crimini di guerra e contro l’umanità impiantato dagli Alleati dopo la resa tedesca. Condannato a morte, come altri gerarchi accusati degli stessi reati, Göring riuscirà a suicidarsi la notte prima dell’esecuzione, prevista il 16 ottobre del 1946, con una capsula di cianuro probabilmente consegnatagli da un soldato americano. Durante il processo non ammise mai i furti d’arte, scaricando la responsabilità del saccheggio sugli uomini della sua divisione, e dichiarando, assurdamente nonostante le prove, di aver trattenuto solo una piccola statua senza valore trovata tra le macerie di Cassino.

Giuseppe Russo