L’Italia dei misteri. Una minestrina al cianuro?! L’omicidio di Francesca Moretti

Ti prego, spiegami che hai?!” così Mirela Nistor nel tardo pomeriggio del 22 febbraio 2000 gridava in via dello Scalo a San Lorenzo a Roma all’amica coinquilina.Francesca Moretti stava impazzendo dal dolore, pensava si trattasse di lombosciatalgia, ma la visione del suo ventre gonfio e tumefatto che si ritorceva come se contenesse qualcosa che voleva uscire portò l’amica Mirela a chiedere aiuto. Chiamò così il suo fidanzato  Raffaele Melis, nonchè ispettore di polizia, per chiedergli cosa fare.

Nell’appartamento oltre a Mirela e Francesca viveva anche Daniela Stuto, la quale al suo ritorno trovò Mirela nel panico e Francesca disperata dal dolore che sembrava aumentare sempre più.

Francesca era a letto da quattro giorni per quello che  sembrava essere un comune mal di schiena, ma sollevando le coperte dell’amica, Daniela si accorse che sulle gambe di Francesca erano comparsi molti ematomi violacei.

La ragazza iniziò a lamentarsi  disperatamente, e neppure il sapere che l’ambulanza che era stata chiamata stava per arrivare riusciva a consolarla.

 Il suo corpo iniziò a contorcersi  in maniera straziante e la situazione sembrava precipitare. Daniela salì sull’ambulanza con Francesca, tentava di tenerla sveglia, ma alle 17e42 quando entrarono all’Ospedale San Giovanni  Francesca, era già in crisi respiratoria.

I medici del Pronto Soccorso non riuscivano a capire che cosa avesse potuto scatenare una reazione del genere su un corpo sano di una giovane donna di 29 anni. Pensarono ad una intossicazione alimentare, le fecero una lavanda gastrica ma con alcun risultato.

Il cuore di Francesca smise di battere poche ore dopo.

La giovane era laureata in sociologia presso l’Università di Urbino, si era recata a Roma per lavorare come ricercatrice nl campo nomadi Casilino 900. Francesca s’impegnava per l’integrazione dei rom, si era fatta benvolere da subito in quell’ambiente difficile  perché i suoi ideali trasparivano forti e chiari.

Nel 1999 il suo contratto non era stato rinnovato, forse per qualcosa che Francesca aveva commesso. Si era innamorata di un ventottenne del campo, Graziano Halilovic, già sposato e con molti figli.

I due giovani non avevano vissuto clandestinamente il loro sentimento, ma si erano apertamente dichiarati.

La moglie di Graziano, Fatima, andata su tutte le furie, in più occasioni aveva sfogato l’ira della donna tradita contro Francesca, minacciandola anche.

Oltre a Fatima, anche altri della comunità erano arrabbiati con la ricercatrice non rom. Nella loro cultura e nelle regole della comunità non potevano essere accettate relazioni con persone di altre etnie. Francesca stava “traviando” Graiano Halilovic, nonché foglio del capo della comunità del Casilino 900.

Le amiche e la mamma di Francesca erano preoccupate per la situazione, ma le rassicurava sempre dicendole che finché ci sarebbe stato il papà di Graziano Vairo Halilovic, il capo, nessuno le avrebbe fatto niente.

Francesca e Graziano stavano progettando una fuga, sarebbero andati a vivere a Pesaro, ma il giorno della partenza non arrivava mai, Graziano trovava scuse su scuse per rimandare e l’entusiasmo di Francesca iniziava a vacillare.

Tutti i suoi progetti e sogni per il futuro furono spazzati via in quella sera del febbraio 2000 in cui il corpo di Francesca giaceva in una cella frigorifera. Sul certificato di morte avevano scritto “shock anafilattico”, ma solo perché le amiche avevano raccontato che quella stessa mattina un medico le aveva fatto un’iniezione di antidolorifico per alleviare il mal di schiena. Ma dalla mattina erano passate troppe ore perché si potesse trattare di una fortissima reazione allergica. Fu così disposta l’autopsia e gli esami tossicologici. Non fu data priorità al caso e ci vollero 4 mesi per avere il responso che lasciò tutti basiti: Francesca era morta a causa di una dose letale di cianuro.

Il sopralluogo che fu subito fatto non servì a niente, la “scena del crimine” ormai non esisteva più.

La sorella si ricordava di un dettaglio particolare, ovvero che 24 ore dopo la morte della sorella, quando si era recata nel suo appartamento per prendere gli effetti personali aveva notato una boccetta di vetro vuota sul pavimento.

Daniela Stuta raccontò di aver dato all’amica per pranzo, quindi poche ore prima della sua morte, una minestrina con il formaggio.

Gli inquirenti iniziarono così a sospettare della Stuta, dal momento che, per quattro giorni Francesca non era uscita di casa, il delitto doveva essersi consumato proprio tra quelle quattro mura.

La madre ricordò di ciò che le diceva sempre la figlia per rasserenarla, e scoprì così che il padre di Graziano, Vajro, era moro proprio il giorno prima della sua Francesca.

Mai è stato indagato su chi potesse essere entrato in quell’appartamento oltre alle inquiline. Francesca aveva più volte raccontato di aver visto ombre aggirarsi anche per casa, sospetti confermati anche dalle altre ragazze e dallo stesso Graziano. Poteva trattarsi di Fatima?!

Da il resto del Carlino: “Pesaro, 19 luglio 2011 – «UN GIORNO in pretura», sabato sera, con quell’ora e più di strasmissione sulla giallo irrisolto di Francesca Moretti — aveva 29 anni, laureata in Sociologia, ex studentessa del classico Mamiani — fondamentalmente ha riaperto una ferita. Perchè a 11 anni da quel delitto — Francesca muore a Roma il 20 febbraio del 2000 dopo aver ingerito una minestrina al cianuro, nella sua casa del quartiere San Lorenzo di Roma — nessun’altra verità è emersa su chi possa esser stato a volerla uccidere. Non sono stati i rom: lei era legata a uno di loro, Graziano Halilovic, a sua volta padre di 5 figli e legato a una donna, Fatima, che minacciava anche di morte Francesca, volendola allontanare dal marito; e soprattutto non è stata Daniela Stuto, al tempo 26enne, la studentessa di Psicologia di Lentini che indagata, si fece mesi di arresti domiciliari, e rischiò di perdere la ragione. In primo grado, il pm, Lina Cusano, chiese ai giurati di condannarla a 25 anni per omicidio volontario. E’ stata assolta in primo grado e in appello. Ora è mamma, ha fatto ricorso in Cassazione dopo che lo Sato le ha riconosciuto, per illegittima detenzione, soltanto 52mila euro. Ma il ricorso l’ha perso, e deve accontentarsi di quei soldi.”

La mamma di Francesca ancora oggi non sa chi è l’assassino di sua figlia Francesca Moretti.