Pubblichiamo di seguito un piccolo saggio in esclusiva: la prefazione alla conferenza sul grande scrittore presso la libreria Feltrinelli di Latina di Pietro Vitelli, poeta e saggista, già sindaco di Cori e profondo conoscitore di storia della Pontinia e dei Monti Lepini.
A 27 anni PPP è già un poeta e un intellettuale affermato e assai noto e non solo in Friuli. Era un dirigente del PCI. Il segretario della sezione PCI di San Giovanni di Casarsa. Nel febbraio 1949 sarà relatore al primo congresso della Federazione PCI. E sarà persino inviato all’estero a rappresentare il PCI in manifestazioni internazionali: a Parigi al Congresso dei partigiani della pace. E’ professore di scuola media. Manifesta la sua personalità omosessuale e ha degli amori giovanili. Alla DC e alla chiesa dà fastidio un personaggio così già allora assai amato benché controverso. Viene fatto di tutto per fermarlo.
Si fa conoscere una sua “avventura”. Viene denunciato. Viene subito espulso per indegnità morale il 26/10/1949 dal PCI. Una parte della motivazione: “…per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e altrettanti poeti e letterati che si vogliono atteggiare a progressisti ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese…”.
In una lettera all’allora segretario della Federazione PCI di Pordenone PPP tra l’altro scriverà ”… molto più di un atto disumano, la vostra è una cretineria…malgrado voi, resto comunista e resterò comunista, nel senso più autentico della parola…”
Pasolini si sente costretto a lasciare Casarsa e il Friuli. Partirà per Roma il 28 gennaio 1950 accompagnato dalla mamma Susanna. Era ancora notte in attesa del treno. Scriverà il cugino Nico Naldini nel bellissimo libro uscito nel settembre 2015 “Un paese di temporali e di primule”: “Se era una fuga, era quasi spensierata, perché le ultime preoccupazioni sembravano come d’incanto dimenticate, o sospese e imprigionate nell’aria invernale casarsese. Madre e figlio si tenevano stretti e ogni tanto a una frase seguiva una risatina nervosa; si sentivano complici in quell’avventura perché tra le sue conseguenze non c’era niente che avrebbe potuto separarli.”
Susanna Colussi sopravviverà di ben 16 anni a PPP. Morendo a 90 anni in Udine. La poesia letta è scritta dunque per una madre viva e vicina.
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Ho fatto qualche resistenza a tenere questa “lezione”,. PPP è una personalità multiforme, dagli infiniti reali interessi, con una creatività sterminata: dalla pittura, al cinema, dalla poesia al romanzo, dal teatro alla critica, dalla dialettologia e linguistica al giornalismo puro. Ne possono parlare nel profondo, con competenza e chiarezza, solo gli specialisti, almeno in qualche campo conoscitivo della sua vasta opera creativa. Io non lo sono ma ho poi deciso di provarci.
Nel provarci ho scoperto che impegnarmi in questo evento mi ha fatto comprendere ancora una volta e in modo più profondo quando Pasolini impregni ancora oggi tutta la poesia, la cultura e l’intellettualità italiana. Si può certo dire che sia stato uno sconfitto. Ma la traccia che ha lasciato è una vena che dà vita.
La vita di Pier Paolo è contenuta in 53 anni, dal 1922 al 1975, anno terribile della sua morte violenta e prematura. I suoi sono stati anni di tragici grandi conflitti e di trasformazione della struttura delle società europee con una velocità che mai si era avuta prima, anni in cui le grandi masse sono entrate come mai dentro i conflitti e nel campo senza confini della politica. Pasolini cerca di difendere la purezza di vita, la ruralità, il (sotto)proletariato, dall’avanzata omologante della società capitalistica, cerca di difendere la purezza della società che conosce contro la trasformazione che avanza di cui intuisce i risvolti negativi. Sarà profetico in molte cose. E la sua storia e le sue opere fanno molto riflettere. Non solo in Italia. Ci aiuta a comprendere chi siamo oggi, ci impegna a non essere inerti spettatori del progredire negativo della società e ci stimola ad assecondare e sostenere la purezza e il progresso positivo che pure è possibile e che le trasformazioni contengono.
PPP non è uno che assiste a questi eventi ma vi partecipa pienamente, totalmente, è esso stesso l’insieme di quegli eventi.
PPP è, come ha scritto Moravia, un poeta civile. Poeta perché è poeta e civile per la sua continua volontà di intervenire e di modificare le cose. Egli esprime il bisogno di essere in mezzo agli altri, di spingerli verso una certa direzione, di illuminarli, di istruirli. Non dimentichiamo mai che PPP è stato un professore, un educatore. Lo sarà sempre. Nelle sue espressioni creative, nei suoi interventi si manifesterà sempre una predisposizione didattica, un comportamento didattico.
E’ stato qui detto in modo autorevole e convincente che tutta l’opera e la vita di PPP è teatro, è teatrale. Eppure io voglio affermare che Pasolini è anzitutto un poeta, che la sua opera è totalmente poesia. Anche nei periodi in cui si è dedicato ad altro ha riempito le sue opere di creazioni poetiche sia idealmente, come concetti espressi, sia inserendo versi in tutti i suoi lavori così da far diventare poetica tutta la sua opera. Non dimentichiamo mai che poesia viene da greco poiesis che significa creare, creazione dal nulla.
PPP ha cominciato a scrivere versi come Arthur Rimbaud a soli sette anni, come narra egli stesso, quando alla passione innata per il disegno e i colori aggiunge quella per la letteratura. Rimbaud, un poeta maledetto, che PPP amava molto. Tra i due c’è molta affinità e PPP stesso si sentiva un poeta maledetto. Scriverà in una famosa e illuminante lettera alla sua amica di una vita Silvana Mauri Ottieri, lettera che può persino essere considerata un programma di vita “la mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario: ormai su di me c’è il segno di Rimbaud… E lascerà scritto la Mauri: “come è accaduto che io, ragazza borghese, senza radici paesane, eterosessuale, e lui allora, tutto pervaso e raccolto di poesia casarsese… studente diligente, omosessuale, ci siamo inseguiti per tutta la vita, scritti, raccontati, raggiunti… dentro la sua vita che sempre più si separava dalla mia?” E ancora: “Era onnivoro: di facce, di gesti, di paesaggi, di odori, del passato, del presente, di letteratura, di linguaggi e di azioni, di ciò che era compiuto e di ciò che era incompiuto, nel suo vitale divenire. Del sublime e dell’orrido dell’uomo”… ai tempi della guerra…ci scrivevamo quasi ogni settimana o quasi ogni giorno” Annoterà poi con tristezza: “le mie lettere sono andate perdute…le sue non mi appartengono”.
I primi versi PPP li ha scritti in italiano. PPP nasce a Bologna da padre ufficiale e madre maestra elementare. Sarà uno scolaro modello e darà ai suoi molte soddisfazioni. E’ curioso che un ragazzo così all’esame di ammissione al ginnasio venga bocciato in italiano. Si rifarà presto. Sono tanto elevati i suoi voti che farà la maturità anzitempo e a 17 anni già frequenta l’università a Bologna dove prenderà nel 1945 la laurea Magna cum laude con una tesi per una “antologia della poesia pascoliana” che verrà pubblicata nel 1993 da Einaudi ed è un classico da cui non si può prescindere per conoscere Pascoli.
Dal punto di vista creativo il 1941 sarà un anno decisivo. Trascorre l’estate a Casarsa dove compone versi che invia ai suoi amici di Bologna (Luciano Serra, Roberto Roversi, Francesco Leonetti) con i quali aveva costituito un vero e proprio sodalizio letterario. E dipinge. Spesso portandosi la tavolozza, colori e pennelli, appesa alla canna, nei suoi giri in bicicletta attorno a Casarsa. E’ assai probabile considerata la sua passione per questa forma di espressione e le opere che ci ha lasciato che se non fosse stato travolto dal demone della poesia e dall’interesse per i dialetti e le lingue sarebbe stato un pittore importante e simbolico. Soprattutto assorbe nel profondo il particolare dialetto di Casarsa già conosciuto dalla voce e dai racconti della mamma Susanna che avrà un ruolo fondamentale e protettivo durante tutta la vita di PPP.
Così nel 1941-42 scrive poesie nel friulano casarsese che mai aveva avuto una forma scritta. La sua creatività e consapevolezza di sé diventa matura. Il libretto “Poesie a Casarsa” pubblicato a sue spese da un piccolo editore–tipografo di Bologna, verrà subito accolto positivamente dal grande critico letterario e filologo Gianfranco Contini.
Già nel marzo del 41 con un tema lodato dai critici d’arte aveva vinto i prelittoriali di critica artistica, indice di un talento precocemente espresso.
Nell’opera di PPP il dialetto sarà una continua sorgente di riflessione che lo porterà ad approfondire la storia della lingua e delle lingue e la connessione e i prestiti continui che avvengono tra loro.
Sin dall’inizio l’uso del dialetto è scandalosamente una rivolta politica. Il fascismo osteggiava l’uso del dialetto, osteggiava le lingue cosiddette barbare. E poi quei primi versi in dialetto sono scandalosi anche perché vi filtra evidente, anche se in modo molto leggero, dell’omoerotismo che PPP vive nelle sue gite in bicicletta nei dintorni di Casarsa e comincia a manifestarlo pubblicamente come essenza di se stesso e come espressione di libertà. Gianfranco Contini capirà subito la bellezza e la novità di quello scandalo di linguaggio e di vita. “L’odore era quello irrefutabile della poesia, in una specie inconsueta, per di più in una di quelle non so se dire quasi-lingue o lingue minori che era mia passione e professione frequentare […] Basti senz’altro raffigurarsi innanzi il suo mondo poetico, per rendersi conto dello scandalo ch’esso introduce negli annali della letteratura dialettale”. Bellezza che qualche anno dopo sorprenderà un altro grande poeta, intellettuale e critico come Franco Fortini quando leggerà nel 1954 La nuova gioventù iniziando un sodalizio, pur con non poche diversità di posizioni, che sarà fondamentale per la cultura, la letteratura e la politica in Italia.
La lingua italiana è stata a lungo solo lingua letteraria, dell’amministrazione, lingua scritta. Gli italiani hanno sempre parlato i dialetti.
Nel 1861 su poco più di 22 MLN di Italiani solo dal 2,5 al 10% erano in grado di esprimersi in lingua. Il 75-80% non sapevano né leggere né scrivere.
Solo nel 1877 verrà introdotto l’obbligo di frequenza delle scuole elementari inferiori. Tuttavia l’arrivo dello stato unitario accelererà il processo di riduzione tra uso della lingua e dialetto, sia parlata che scritta. La conoscenza dell’italiano è stata lacunosa e incerta fino al secondo dopoguerra.
Ancora nel 1943 l’italiano si usava praticamente solo a scuola. La vera convergenza del dialetto nell’italiano è cominciata dopo il 1945 e viene accelerata dalle migrazioni interne, dall’arrivo della TV, dalla scolarizzazione (la scuola media verrà introdotta solo con legge 31.12.1962, n.1852) di fatto portando l’obbligo scolastico ai 14 anni. Oggi l’analfabetismo non supera l’1% della popolazione italiana.
Tuttavia è forte l’analfabetismo funzionale e cioè l’incapacità di utilizzare in modo sufficiente l’abilità di scrittura, di lettura e di calcolo. Esso è ancora oggi pari al 20%.
Comunque oggi il 95% è capace di esprimersi in italiano, il 40% ne fa un uso abituale anche in famiglia, ma ben il 60% nelle relazioni tradizionali continua a usare il dialetto.
Oggi la convergenza tra lingua scritta e parlata tende a raggiungere il 100% delle persone.
Ma i dialetti continuano ad essere vivi e vegeti.
Scrive T.De Mauro su l’Unità nel 2009 “la pluralità idiomatica non è un accidente stravagante, ma un fatto fisiologico per la specie e le comunità umane e che una cattiva scuola o provvedimenti stolidi possono tentare di soffocare questo fatto, ma non riescono a spegnerlo senza tentare di spegnere l’umanità stessa…” i dialetti italiani…” sono la testimonianza viva di un patrimonio di cultura e tradizioni, e spesso, sono diventati espressione d’arte.”
L’uso del dialetto per PPP non è un vezzo, un innamoramento passeggero, puro esibizionismo ma qualcosa di più profondo e nuovo come da subito capisce Contini. C’è in Pasolini nell’uso e nello studio del dialetto certo un affetto per il mondo delle origini, per la lingua di sua madre, dei ragazzi che sin dall’infanzia frequenta a Casarsa e con i quali tra l’altro comincia a manifestare il suo doppio, la sua omosessualità, che PPP conosce, scrive egli stesso, si da quando aveva 3 anni e mezzo e lo farà soffrire come una seconda persona che vive dentro il suo corpo, gli darà dolore per tutta la vita, e insieme una forza fisica e creativa, una libertà interiore, pur nel dolore, che ha pochi uguali nel mondo intellettuale moderno.
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PPP oltre a questa affettività usa e guarda al dialetto in modo politico. Egli contrasta tutti coloro che vorrebbero far essere il dialetto una semplice forma di comunicazione localistica senza alcun valore nazionale. La ricerca, lo studio del dialetto e insieme della lingua che fa PPP è di tale rilevanza che egli malgrado non sia scientificamente e professionalmente un linguista lo fa oggi considerare tra quelli dai quali non si può prescindere se si vuole capire cosa è una lingua, cosa sono i linguaggi nella storia umana e come essi interagiscono e si contaminano.
PPP scrive che “il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Capite bene che si tratta di una posizione politica. E d’altra parte per PPP il dialetto è forse l’ultima luce che sopravvive, pura e incontaminata delle società umane. Il dialetto dovrebbe essere protetto. Addirittura aprirà una scuola sul dialetto friulano e una Academiuta de lenga furlana. E lo fa l’intellettuale, il poeta l’artista, che più di ogni altro ha usato il linguaggio multimediale. Scrive De Mauro in una prefazione al libro di Pier Paolo “Le belle bandiere. “Pasolini è il primo artista di grande livello internazionale che possa definirsi multimediale in modo adeguato alle tecnologie contemporanee della comunicazione e dell’espressione. Egli è stato un infaticato sperimentatore di linguaggi diversi: parola e disegno, teatro e cinema, canzone e musica, corporeità e sport.” E io aggiungo poesia e romanzo. Scrive Pasolini “io cerco di creare un linguaggio che metta in crisi l’uomo medio, nei suoi rapporti con il linguaggio dei mass media…è tramite questo codice (il linguaggio) istituito che fraternizzo con gli altri. Ciò che mi importa nell’istituzione di questo codice è che mi rende possibile la fraternità. Il codice linguistico è la forma esterna indispensabile a questa fraternità umana.” Ho l’impressione che in questa ricerca sul linguaggio, e sulla sua forma volgare, come forma comunicativa indispensabile PPP possa avere compagni fra i nostri grandi: Dante (basta ricordare il Convito e il De Vulgari eloquentia) e Leopardi (Zibaldone), ma anche il Gramsci dei Quaderni. A proposito dei Quaderni, a che io ne sappia Pasolini è il primo e forse l’unico che in uno scritto del 4 marzo 1965 fa delle osservazioni sulla lingua usata da Gramsci che non solo fanno intendere come di Gramsci abbia fatto una vasta e profonda lettura ma anche aiutano a capire cosa è una lingua, come si evolve, come può far capire la personalità più vera di una persona complessa come è Gramsci che tra l’altro nella biografia di PPP è quasi uno specchio di sé
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Pasolini dice che il linguaggio della poesia è un linguaggio a parte. Sua caratteristica è la diacronia. Il poeta è sempre ritardato o anticipato rispetto alla circostanza storica del suo tempo…mentre la lingua del teatro è invece una lingua per definizione sincronica: le evocazioni sono possibili ma devono essere fatte apposta. Si può avere un teatro (in versi) tutto scritto nel linguaggio della poesia: ma il punto di partenza è sempre sincronico con gli altri linguaggi di un dato momento storico. Poi osserva che ci sono casi persino in una lingua storica come l’italiano in cui avviene una diacronia tra linguaggio scritto e linguaggio orale. Non c’è insomma una pronuncia unica delle parole nell’intero territorio nazionale, nella cosiddetta koiné dell’Italia. Ecc ecc.
L’interesse e l’importanza di PPP per il dialetto, il suo studio e lo studio delle lingue lo troviamo in tre opere fondamentali: Poesia dialettale del Novecento, Canzoniere Italiano o Antologia della poesia popolare italiana con la collaborazione dell’amico poeta dialettale ed editore romano Mario dell’Arco e nel postumo Passione e ideologia (1985). Tra l’altro PPP scrive una prefazione-saggio all’opera Ottave di Mario dell’Arco incrociando così anche Domenico Purificato, nostro conterraneo, che ne ha prodotto la copertina. Cito Purificato per ricordare i legami di PPP con la terra pontina. Nel bene e nel male: dal racconto su Terracina, alla vacanze a Sabaudia, al processo per essere stato accusato di rapina a mano armata al Circeo.
Sarà promotore con M.Dell’Arco editore e con altri poeti, molti dei quali allora molto giovani e che oggi ritroviamo nelle antologie, della rivista che raccoglie il meglio della poesia dialettale italiana e nella quale mostra il suo forte interesse per la poesia del Belli e in generale per la poesia romanesca tanto che sarà il prefatore all’antologia curata da Leonardo Sciascia ”Il fiore della poesia romanesca”. Anzi si può dire che sarà il lavoro di Pasolini e i suoi amici, a cominciare dal lavoro di Giorgio Vigolo (memorabile la sua edizione Mondadori del 1952), che faranno del Belli un poeta assai noto e letto benché dialettale. Attraverso la rivista Il Belli, PPP farà un’inchiesta sulla poesia interdialettale ancora oggi di grande interesse per la storia e la conoscenza della poesia e delle lingue.
Emergerà da quell’inchiesta di Pasolini la consapevolezza, di quei poeti, che tutta la poesia greca, come è ben noto, è poesia dialettale.
La poesia di PPP è ricca di simboli sin dalle prime prove malgrado l’evidente influenza che su di lui aveva il decadentismo e l’ermetismo.
L’elemento fondamentale del Simbolismo è che sotto la realtà apparente, quella percepibile con i sensi, si nasconda una realtà più profonda e misteriosa, a cui si può giungere solo per mezzo dell’intuizione poetica.
Ma il simbolismo di PPP è di tipo nuovo e del tutto personale. Un simbolismo che storicizza l’uomo. Si tratta di un modo nuovo di scrivere sull’uomo. Un modo diverso rispetto al passato di affabulare (cioè trasformare in forma scenica) rendendo simbolici i vari momenti della storia nella quale l’uomo vive integralmente. Egli trasforma il simbolico nella scrittura del suo tempo. Pasolini storicizza le cose e gli uomini con l’uso e il governo di un linguaggio che trasforma in segno l’immagine simbolica e così l’insieme delle cose o degli eventi che racconta si fa storia.
Sarebbe interessante quando sia simbolico il suo specchiarsi in Gramsci o il suo assomigliare la morte violenta del fratello Guido a quella di Paolo di Tarso che dopo la sua anch’essa morte violenta fa essere la sua stessa vita simile nelle vicende a quella di Paolo di Tarso sia nel tempo vissuto (54-53 anni), nello scoprire il lontano e nello stesso tempo improvviso e lento maturare di ciò che, fisicamente e eticamente, è egli stesso. Interessante rileggere la poesia Tarso, da lontano. E si sa quando PPP abbia sempre, sin da giovanissimo, lavorato attorno alla figura di Paolo, che per lui è una specie di alter ego, persino sceneggiando un film che purtroppo non ha avuto tempo di realizzare.
Un grande critico Americano, Harold Bloom, ha messo al centro del canone occidentale, nella letteratura e nella cultura, l’opera di William Shakespeare con a fianco Dante Alighieri. Tra gli altri pochi autori italiani che rappresentano per Bloom, anche oggi il canone occidentale, ha messo PPP. Questo vuol dire che PPP quanto ad acutezza cognitiva, energia linguistica, e forza di invenzione come direbbe Harold Bloom oltrepassa gli altri scrittori.
Pietro Vitelli
Nella foto a colori sopra Vitelli con il nostro Emilio Magliano alla presentazione di un suo libro a Cori. Più in alto con Totò, la Callas e la madre
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