La strage di Novi Ligure: Erika ed Omar, due nomi che mai nessuno ha dimenticato

Lei, la madre, era una donna modello; lui, il fratello, un bambino dolcissimo; sembrava una strage assurda – una rapina? – ma la verità era un segreto agghiacciante.

Novi Ligure, 21 febbraio 2001, ore 20:30: un mercoledì come tanti di una normalissima città della provincia piemontese; un ultimo sguardo al telegiornale e poi a letto per l’inizio di un nuovo giorno, uguale a tutti gli altri: quella sera però Novi Ligure non riuscirà ad andare a dormire.

In una villetta color salmone in via Dacatra 16, era appena passato un mostro.

Una mamma, Susi Cassino di 41 anni,  giaceva sul pavimento della cucina…il mostro l’aveva dilaniata con un coltello, abbandonato lì vicino, con oltre 50 coltellate.

Una mattanza…il sangue era schizzato ovunque: sul pavimento, sui mobili, sui muri, sulle scale che portano al piano di sopra..dove l’orrore continua!

Al piano superiore nella vasca da bagno giaceva il corpo del piccolo Gianluca di appena 11 anni, sommerso dall’acqua.

Alla vista della scena del crimine, l’allora Procuratore Capo di Alessandria, Carlo Carlesi, fu colto da malore, per poi dichiarare “ è una cosa di una ferocia senza limiti, senza senso..è uno degli episodi più feroci che abbia visto in vita mia”.

Di fronte ad una madre e ad un figlio massacrati in quel modo gli inquirenti pensarono subito ad una rapina finita male.

Susi Cassino era la moglie dell’ingegnere Francesco De Nardo, dirigente di spicco della Pernigotti; quella sera l’ingegnere era a giocare a calcetto, e arrivato sul posto non si dava pace per quello che era successo. Accanto a lui c’era una ragazzina alta e magra…è la figlia maggiore, ha 16 e si chiama  Erika.

C’era anche lei con la mamma ed il fratellino quando la morte è entrata in casa sua, ma per miracolo è riuscita a salvarsi. Il racconto di Erika, la figlia scampata al massacro, è un film dell’orrore: la ragazza racconta agli investigatori che quel giorno era nella sua stanza, stava ascoltando della musica con le cuffiette e sente rientrare in casa mamma Susi ed il fratellino Gianluca che erano andati in palestra.

Poco dopo la ragazza dice di sentire un urlo, poi un tonfo, poi un altro ancora sulla scala; Erika si spaventa, spalanca la porta della sua stanza e vede una scena raccapricciante: davanti a lei al primo piano, un uomo sta accoltellando il fratellino Gianluca; quasi subito si avventa anche su mamma Susi salita per le scale a soccorrere il figlio.

Erika giunge in salotto e li si accorge che c’è un altro uomo che cerca di fermarla, ma lei è più svelta; racconta poi di essere fuggita attraverso un seminterrato che porta direttamente sulla rampa di accesso ai garage e riesce a fermare una macchina che stava transitando in quel momento.

La ragazza darà anche una descrizione degli aggressori, indicando una persona più vecchia ed una più giovane; gli inquirenti le mostrano un album di foto segnaletiche; dopo averlo sfogliato un po’, Erika sobbalza: ha riconosciuto il suo aggressore in un giovane albanese che vive con la famiglia ed i suoi fratelli in periferia.

I carabinieri si precipitano a casa del ragazzo e a Novi Ligure scoppia la caccia allo straniero, all’assassino albanese che aveva distrutto una famiglia modello!

Ma il giovane albanese indicato da Erika e condotto in caserma non centra nulla: ha un alibi inattaccabile.

Intanto  a Novi Ligure arrivano gli uomini del RIS di Parma; secondo le prime impressioni del Colonnello Garofano nel racconto di Erika c’è proprio qualcosa che non va: perché nessuno ha sentito le urla di Susi e Gianluca? Perché la porta non è stata scassinata? Come hanno fatto allora i due rapinatori ad entrare nella villetta? Perché il cane non ha abbagliato?

C’è un’altra cosa che non torna: l’ora della rapina; a quell’ora tutti sono a casa e nessuno avrebbe programmato una rapina di quelle proporzioni, e poi i ladri rubano mentre invece dalla villetta di via Dacatra non fu portato via un bel niente.

Troppe cose non convincevano tra cui l’atteggiamento di Erika: può essere così distaccata una persona che ha assistito all’uccisione della madre e del fratellino? La sua attendibilità cominciava a vacillare.

E se la verità fosse un’altra? E se Erika De Nardo stesse nascondendo qualcosa sul massacro della sua famiglia?

Gli inquirenti decidono di vederci chiaro su Erika De Nardo: sul suo conto girano delle brutte chiacchiere, si dice che faccia uso di cocaina , che frequenti un poco di buono, Omar Favari; il ragazzo non piace alla famiglia di lei che ne contrasta fortemente la relazione.

Venerdì 23 febbraio 2001, è mezzogiorno a Novi Ligure e sono passate appena 36 ore dal ritrovamento dei corpi di Susi De Nardo e del piccolo Gianluca; i giornalisti sono accampati in via Dacatra come truppe dinanzi ad un ponte levatoio.

Arriva una macchina, scende un carabiniere, un magistrato e poi lei, Erika; ma la ragazza non è sola, c’è anche un ragazzo, una faccia nuova: è Omar Favari.

Terminato il sopralluogo, le telecamere seguono con lo sguardo i due ragazzi finchè non risalgono in macchina; i giornalisti però non sanno che in quella giornata deve ancora succedere qualcosa.

Ore 13:30, caserma dei Carabinieri di Novi Ligure: Erika ed Omar, di ritorno dal sopralluogo, vengono lasciati soli in una stanza; i due ragazzi si coccolano, parlano e non si accorgono che non sono soli: c’è un occhio piccolo ed invisibile che sta registrando tutto.

<< minchia quand’è che andiamo fuori?>>

<< stai zitto Omar…da ora in poi non dobbiamo più parlare ok?>>; <<io  accuso due persone che non c’entrano..>>

Di cosa ha paura Omar? La risposta è li davanti all’occhio invisibile.

<<l’ho colpito così tuo fratello quando si è tolto l’asciugamano…è riuscito a ribellarsi diverse volte, poi quando l’acqua è diventata rossa…tutto quel sangue…>>

Erika ascolta impassibile e rilancia << mia madre ti diceva: io ti perdono Omar, io voglio vivere. E a me: Erika ferma,  perché mi fai questo >>

Gli inquirenti posano le cuffie: il massacro di Novi Ligure ha i suoi  colpevoli.

Il massacro di Susi Cassino e del piccolo Gianluca, per l’efferatezza, per il contesto, per la personalità degli autori e per l’apparente assenza di un comprensibile movente, si pone come uno degli episodi più drammaticamente inquietanti della storia giudiziaria del nostro paese: così si legge nella sentenza dei giudici che condannarono Erika ed Omar rispettivamente a 16 e 14 anni di reclusione.

Carla Santoro