L’ Ora della Storia: Grazia Deledda, l’unica italiana che vinse un Premio Nobel

Quinta di sette figli Grazia Deledda, sarda purosangue, nacque a Nuoro il 27 settembre 1871 da una famiglia benestante. Suo padre era laureato in legge,  ma non esercitò mai la professione di avvocato, fu imprenditore di se stesso, ricco e possidente, con una forte passione per la poesia. Grazia studiò privatamente come era in uso in quei tempi per le signorine di buona famiglia, e imparò l’italiano, il latino e anche il francese. Proseguì la sua formazione da autodidatta, con  in corpo una grossa predisposizione alla scrittura. Enrico Costa, anch’egli scrittore e archivista,  storico amico di famiglia, fu tra i primi a riconoscere il suo talento e a percepirne la grandezza. La storia di Grazia non fu sempre rosea, perse presto il padre e la sua famiglia venne colpita da più di una disgrazia, ognuno dei fratelli ebbe problematiche gravi: alcoolismo, arresti, lutti e notevoli difficoltà economiche. Si salvò scrivendo e diventando a poco a poco una delle madri della cultura Italiana. Iniziò a pubblicare nel 1888 inviando  a Roma alcuni racconti,”Sangue sardo e Remigia Helder,” l’editore Edoardo Perino fu il primo a credere in lei e le diede spazio sulla  sua rivista,”L’ultima moda”, facendole pubblicare a puntate il suo romanzo dal titolo ” Memorie di Fernanda”. Per un breve periodo prima di essere conosciuta, usò  uno pseudonimo, “Ilia De Saint Ismail”, era attratta da testi francesi, a quel punto uscì con un altro romanzo, “Stella d’Oriente”, oltre a proseguire  con la pubblicazione di un testo di fiabe per bambini. La Deledda incontrò l’approvazione e il sostegno di letterati illustri come Angelo de Gubernatis e Ruggero Bonghi, quest’ultimo nel1895, accompagnò con una sua prefazione l’uscita del romanzo di lei “Anime oneste”.Tra libri, articoli ,raccolte, e poesie riuscì ad imporsi nel panorama letterario Italiano. Sposò Palmiro Madesani, un conterraneo conosciuto da tempo, ebbe due figli e presto lui lasciò il lavoro di funzionario al Ministero delle Finanze, per diventare l’agente letterario della moglie, veniva spesso definito “uomo ombra”. Nel 1903 iniziò una vera e propria carriera letteraria, pubblicando diversi libri e opere teatrali, confermandosi come scrittrice di talento e rendendosi riconoscibile anche all’estero, in un periodo in cui per una donna spiccare il volo della notorietà era una vera e propria impresa, emergeva  e si imponeva soprattutto la letteratura al maschile. La sua opera fu apprezzata da nomi illustri come Giovanni Verga, e da scrittori ancora agli albori della carriera come Enrico Thovez, Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi e Antonio Baldini. Il 10 dicembre 1926 le venne conferito il premio Nobel per la letteratura, unica scrittrice donna italiana ad ottenere un cosi alto e prestigioso riconoscimento. Quel giorno a Stoccolma, in una stanza del Grand Hotel, era nervosa, stupefatta, stanca, ma nel contempo, euforica e in procinto di varcare le porte di un giorno glorioso, indecisa su ciò che avrebbe dovuto dire, indossare, a chi avrebbe dovuto indirizzare i primi ringraziamenti per tanto plauso. Mentre riceveva il più ambito dei premi, davanti al sovrano di Svezia, alto, elegante, estremamente aristocratico, pensava al suo ritorno a Roma, ai figli, alla sua casa, alle sue abitudini e alla sua scrivania. Dentro all’anima aveva già la consapevolezza di dover accettare un altro duro colpo, di dover incassare una condanna, dopo il clamore della notorietà. Il tumore al seno di cui soffriva da tempo si manifestò nella sua ferocia e  la condusse alla morte nell’ agosto del 1936, quasi dieci anni dopo la vittoria del premio che la rese madre della letteratura Italiana, unica e inequivocabile rappresentante della cultura in gonnella. Un sarcofago di granito nero levigato, nella chiesa della Madonna della Solitudine (in fondo  quasi un triste auspicio, le persone che scrivono le fanno sempre in solitudine) ai piedi del monte Ortobene di Nuoro, conserva le sue spoglie. Lasciò incompiuto il suo ultimo romanzo, “Cosima”, quasi un racconto autobiografico. Alcune settimane fa mi sono incuriosita, un conterraneo della Deledda, Marcello Fois, presentava il suo nuovo libro, tra i vari argomenti colti di cui noi presenti abbiamo potuto beneficiare, oltre ad una lezione sui capisaldi della scrittura, ha menzionato un accenno al suo penultimo romanzo: “Quasi Grazia”, un perfetto scritto in forma di sceneggiatura  teatrale, dedicato proprio alla scrittrice. Le sue parole mi hanno molto colpita, ho acquistato il romanzo che aveva terminato di presentare e gli ho chiesto di autografarlo, mi sono complimentata  per il colto e  piacevolissimo intrattenimento. Gli ho detto che avrei acquistato anche un suo testo dedicato alla scrittrice, ma non era in vendita li, quel pomeriggio. Molto garbatamente e cordialmente, ha estratto dalla sua valigetta la copia del libro che volevo, la sua copia personale dicendo:”Non sia mai detto che una “Grazia” rimanga sprovvista di un libro che porta il suo stesso nome”. Gli ho regalato la mia Bic punta grossa, perchè potesse apporre la sua firma nella pagina bianca del testo che mi aveva appena regalato, Quasi Grazia” : ha tracciato una riga sul “quasi”…

M.G. Vannini