Il giallo di Nicotera: quali verità si nascondono dietro la scomparsa di Maria Chindamo?

Il 6 maggio del 2016 a Nicotera, nella provincia di Vibo Valentia, spariva nel nulla Maria Chindamo, imprenditrice di 44 anni, originaria di Laureana di Borrello (RC).

Quel giorno Maria doveva incontrare un suo operaio, Alessandro Dimitrov, nei terreni della sua azienda agricola, alle 7.15 del mattino, ed è proprio lui a trovare l’autovettura della Chindamo – una Dacia Duster di colore bianco – ancora in moto, di fronte al cancello d’ingresso dell’azienda. Sulla fiancata dell’auto e all’esterno della stessa vengono rinvenute alcune macchie di sangue oltre a ciocche di capelli.

Cosa è successo quella mattina? Che fine ha fatto Maria? Chi l’ha presa?

Tante domande che a distanza di un anno non hanno ancora alcuna risposta; i figli di Maria vivono in una sorta di limbo in attesa di sapere che cosa è successo alla loro mamma.

L’attenzione si concentra sin da subito su un’inquietante coincidenza temporale: un anno prima, l’8 maggio 2015, l’ex marito dell’imprenditrice, Ferdinando Punturiero si è suicidato, impiccandosi, dopo che lei lo aveva lasciato. Gli inquirenti ritengono particolarmente significativo che Maria sia stata uccisa – questa è l’ipotesi accreditata – proprio ad un anno dalla morte del marito.

I familiari della donna non riescono a capire se si sia trattato solo di un tragica coincidenza o ci sia un legame tra le due cose.

Le indagini vanno avanti senza tralasciare nessuna pista e valutando qualsiasi minimo dettaglio, ma in merito agli esiti ed allo stato degli atti la Procura di Vibo Valentia non lascia trapelare nulla, neppure sulla lettera anonima arrivata qualche tempo fa.

Si tratta di una missiva inviata al sacerdote don Pino De Masi, parroco della comunità “S. Marina Vergine” di Polistena. La lettera, contenuta in una busta, è stata infilata nella cassetta postale della parrocchia; su un foglio bianco qualcuno ha fornito in forma anonima delle indicazioni precise che don Pino De Masi ha definito come “super attendibili”.

La missiva è stata consegnata dal sacerdote al capitano dei carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro per poi essere trasmessa al pm della Procura di Vibo Valentia, Concettina Iannazzo, che si occupa del caso.

Si indaga anche su un particolare di non poco conto: i sequestratori hanno manomesso l’unica telecamera della zona, quella che avrebbe potuto filmare la presenza e i movimenti di chi ha deciso di prelevare con la forza Maria Chindamo e portarla con sè per farla sparire.

Sul luogo del rapimento, ovvero nei pressi del cancello della tenuta agricola della donna, gli investigatori hanno trovato diverse tracce di sangue della donna. Per il riserbo  degli inquirenti però non ci è dato sapere  sulla possibilità che alcune tracce di sangue, rinvenute sulla Dacia Duster di Maria, possano appartenere anche ad altre persone ovvero ai suoi sequestratori. Appare certo che la donna ha opposto resistenza prima di essere portata via.

Nulla trapela dagli inquirenti anche in ordine al rinvenimento lo scorso anno, a pochi giorni dalla scomparsa di Maria Chindamo, della carcassa di una Fiat Punto ritrovata completamente carbonizzata nei pressi di un corso d’acqua. L’auto è risultata rubata e si cerca di capire se sia stata vista circolare nei pressi dell’azienda agricola  nel giorno della scomparsa della donna o nei giorni precedenti.

Ad un anno di distanza non c’è stato nessun iscritto nel registro degli indagati; il giallo sulla tragica scomparsa di Maria Chindamo continua ad essere caratterizzato da un silenzio spettrale.

Figli, familiari, parenti e amici non cullano più illusioni, ma neppure si rassegnano all’idea che tutto possa scivolare nel nulla. Tra coloro che, comunque, non accettano una giustizia tartaruga e continuano a cercare l’anello debole della perversa strategia che “l’architetto” del progetto mirato ad eliminare Maria ha posto in essere con lucida ferocia, c’è di sicuro Vincenzo Chindamo, giovane fratello della sfortunata imprenditrice.

Molte le cose che non lo convincono. Lo lasciano perplesso soprattutto il convincimento della Procura che la ‘ndrangheta non abbia avuto un ruolo nella scomparsa della sorella; il fatto che i titolari delle indagini non lo abbiano mai convocato ( è stato ascoltato solo dai carabinieri); il constatare che all’iniziale pressione sul territorio con sequestri di veicoli, scavi nei terreni di un’azienda alla periferia di Laureana, intervento dei Ris e impiego dei cani molecolari, sia subentrata una fase delle indagini più pensata che appariscente.

Vincenzo Chindamo ritiene che la tragica scomparsa di sua sorella rappresenti un profondo segno di regressione sociale, dal momento che qualcuno ha desiderio di limitare la libertà delle persone. Un gesto del genere nasce solo da odio profondo.

Il fratello di Maria dichiara di non conoscere  le colpe che sua sorella avrebbe potuto avere agli occhi dei responsabili di tanta malvagità, ma c’è di fatto – secondo lui – la dimostrazione  che esiste un “tribunale clandestino” che lavora e decide.

Al vaglio degli inquirenti vi è anche un’altra vicenda che per i propri contorni si inserisce con verosimile collegamento nella scomparsa di Maria Chindamo.

Il 16 ottobre del 2016, cinque mesi dopo la sparizione di Maria, è scomparso anche un pensionato, il signor Vincenzo, un agricoltore proprietario di un terreno sito nella campagna di Laureana di Borrello, accanto a quello in cui gli inquirenti scavarono per cercare il corpo della donna. Quell’area è la stessa dove ha sede la proprietà della Chindamo, dove l’imprenditrice  è stata sequestrata ed aggredita.

Si fa fatica a credere che si tratti di una circostanza autonoma e di una mera coincidenza, piuttosto  il perché sorge spontaneo…

Forse perché il signor Vincenzo sarebbe stato testimone scomodo di qualcosa?

Forse proprio dell’occultamento del corpo della povera Maria?

Tutto riconduce alla mattina della scomparsa della Chindamo, probabilmente il punto focale in cui vanno ricercati gli indizi principali di questa intricata vicenda.

Il lasso temporale da prendere in considerazione è dalle ore 07:00 alle ore 07.26 rispettivamente ora di uscita della Chindamo e ora della telefonata di Dimitrov al fratello della Chindamo.

Non del tutto prive di anomalie risultano le modalità del rinvenimento dell’autovettura  e la ricostruzione che emerge dalle dichiarazioni di Dimitrov.

L’operaio dice di trovare la macchina con la portiera aperta ed il motore acceso – dinanzi al cancello d’ingresso della proprietà – sottolineando  “ come se stesse per entrare”; riferisce di non aver udito alcunchè in quanto impegnato in faccende con il trattore e solo allorquando si porta a piedi verso il cancello per aprirlo si accorge della autovettura della Chindamo

Certo che è un gesto strano : dal momento  che l’appuntamento  con l’imprenditrice era estremamente mattiniero, l’aprire il cancello sarebbe dovuto essere il primo gesto da compiere invece di  mettersi a preparare il trattore.

E se fosse stato tutto  pianificato nei particolari per indurre a ipotizzare e ricostruire i fatti in modo non corrispondente alla vera dinamica?

Se fosse stata preordinata anche la data dell’aggressione al fine di far ricadere automaticamente  il dubbio del sospetto sulla famiglia dell’ex marito suicida della Chindamo ?

Tante sono le anomalia e le incongruenze, difronte alle quali la macchina della giustizia ancora oggi non ha fornito alcun esito né ha fatto chiarezza sui tanti aspetti inquietanti di questo giallo irrisolto dell’estremo Sud, a cavallo tra le province di Vibo Valentia e Reggio Calabria.

Carla Santoro