I pericoli del mestiere di giornalista: ucciso in Messico Javier Valdez Cardenas, reporter d’assalto

Il giornalismo, almeno quello investigativo che fa le inchieste sul campo e opera nelle zone di guerra e nelle aree di crisi, è un mestiere pericoloso. Lo testimonia il pesante tributo di sangue che cronisti e inviati speciali pagano ogni anno in giro per il mondo. L’anno scorso, ad esempio, secondo il rapporto annuale stilato da Reporter senza frontiere, 74 giornalisti, professionisti e non, sono stati ammazzati mentre facevano il loro lavoro. Mortalità in calo, effettivamente, poiché nel 2015 le vittime erano state 101. La situazione mondiale è dunque migliorata nell’arco di 12 mesi? Non esattamente. In realtà, il calo dei delitti si deve al fatto che “i giornalisti non hanno avuto altra scelta che lasciare i Paesi diventati troppo pericolosi”, spiega lo studio. Siria, Iraq, Libia, Yemen, Afghanistan, Burundi e Messico i luoghi più letali per gli operatori dei media.

“La violenza contro i giornalisti – aggiunge Christophe Deloire, segretario generale di Rsf – è sempre più consapevole: vengono presi di mira e uccisi per via del loro lavoro. Una situazione allarmante che riflette il fallimento evidente delle iniziative internazionali per la protezione dei reporter e che ha firmato la condanna a morte dell’informazione indipendente in troppe arre del mondo. Chiediamo alle Nazioni Unite di trovare il modo di dare concretezza alle risoluzioni e al nuovo Segretario generale, Antonio Guterres, di nominare un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti”. Lodevoli intenzioni, ma che sono puntualmente smentite dai fatti. L’ultima tragica notizia in tal senso giunge dal Messico. Il giornalista Javier Valdez, noto per le sue inchieste sul traffico di droga, è stato assassinato a colpi di pistola a Culiacan, una città dello Stato nord-occidentale di Sinaloa, vicino alla sede del settimanale da lui fondato, ‘Riodoce’. Grazie alle sue inchieste, aValdez, 50 anni, era stato assegnato nel 2011 il premio internazionale per la liberta’ di stampa dal Committee to Protect Journalists (Cpj).

Nella sua lunga e avventurosa carriera, Valdez si è occupato di traffico di droga e di organizzazioni criminali in Messico, compreso il potente cartello di Sinaloa, che gestisce circa un quarto delle droghe illegali esportate negli Stati Uniti, i cui sicari sono probabilmente responsabili del delitto.

Parole pesanti e sofferte sono state espresse dal presidente Enrique Pena Nieto, che ha definito l’omicidio un “crimine atroce”, assicurando che il governo è impegnato a difendere la libertà di stampa. Il procuratore generale dello Stato di Sinaloa, Juan Jose Rios, ha dichiarato inoltre che le indagini sono in corso per fare luce sul caso e che proteggerà la famiglia e le persone vicine a Valdez. Cosciente dei rischi che stava correndo, il giornalista aveva riferito in precedenza all’organizzazione Index on Censorship di essere minacciato per le sue inchieste. Intanto, il suo ufficio era stato già colpito da una granata. “Alcune mie fonti sono state uccise o sono scomparse” aveva denunciato. “Il governo non potrebbe occuparsene di meno. Non hanno fatto niente per proteggerle“. Poco tempo prima, era caduta sotto i colpi dei killer la reporter Miroslava Brech. Non dobbiamo dimenticare che almeno 40 giornalisti, secondo dati del Cpj, sono stati assassinati in Messico dal 1992. E la mattanza non è finita…

Aldo Musci