Globalizzazione e sicurezza: la teoria dei giochi

Globalizzazione e caos sembrano imporsi come binomio indissolubile. Indubbiamente, viviamo una temperie segnata dall’incremento esponenziale della complessità a tutti i livelli del reale. Di conseguenza, individui, gruppi sociali, comunità, Stati e organismi sovranazionali, orientano le proprie azioni con crescente difficoltà in un mondo sempre più fluido e imprevedibile. Un esempio per tutti: la tutela della sicurezza. Tema più che mai al centro del dibattito politico-istituzionale a causa dell’aggravarsi delle minacce terroristiche e criminali. Minacce alle quali gli organi preposti oppongono risposte spesso insufficienti e talora anodine, come dimostrano i tragici eventi di questi giorni. L’opinione pubblica, pertanto, ne è scossa e intimidita, mostrando una dilagante sfiducia verso le istituzioni. Da più parti s’invoca, allora, l’intervento dell’intelligence come se si trattasse di una forma onnisciente e onnipotente di controllo degli eventi. L’accusa è scontata: “I servizi segreti sono inefficienti, non hanno previsto e sventato l’attentato…”. Non tutti sanno, tuttavia, che il lavoro dell’intelligence è molto complesso. Complesso per decifrare la complessità. E utilizza strumenti analitici e discipline cognitive sofisticate, ma non infallibili, per “processare” la mole impressionante di informazioni che quotidianamente affluiscono da varie fonti nelle strutture abilitate a vagliarle. Una di queste discipline, particolarmente in voga negli ambienti dei servizi, è la teoria dei giochi, su cui vale la pena di soffermarsi. Ce ne dà lo spunto un interessante saggio dal titolo “Neuroeconomia e teoria dei giochi. Tra cervello, decisioni ed emozioni” di Iside Rita Laganà, laureata in Scienze economiche presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Nata negli anni ’40 del XX secolo a opera del matematico John Von Neumann, la teoria dei Giochi è una disciplina scientifica che si avvale della matematica più complessa per studiare e approfondire le modalità con cui ciascun soggetto coinvolto in una competizione possa elaborare strategie, valutare le giuste decisioni e conseguire il miglior vantaggio. Il campo di applicazione si estende a tutti gli ambiti decisionali dove sia possibile rilevare, oltre alla scelta personale, anche quella altrui. La teoria dei giochi si è innovata recentemente grazie a un nuovo ambito di ricerca: quello della neuroeconomia che ha importato nel contesto economico alcuni elementi propri della psicologia.

“In questo senso – scrive Rita Laganà – la neuroeconomia si concretizza come l’area ‘where psychology and economics meet’” .

Negli ultimi anni – spiegano Amos Tversky e Daniel Kahneman, economisti israeliani vincitori del Nobel nel 2002 – sono stati raggiunti importanti progressi nello studio del funzionamento del cervello e del rapporto esistente tra comportamento dell’individuo e sua attività cerebrale. Gli sviluppi nell’ambito neuro-scientifico hanno dimostrato che le emozioni rappresentano la fonte primaria da cui scaturiscono le azioni, i comportamenti e i pensieri dell’individuo.

Gli studi neuro-scientifici hanno evidenziato l’incapacità della mente di comprendere i meccanismi che regolano le azioni e i pensieri umani. L’individuo è, infatti, consapevole solo di una parte irrisoria di ciò che avviene realmente durante un processo decisionale. Diversamente, la teoria economica classica si basa sulla razionalità degli individui e sui processi consapevoli. In quest’ottica razionale, il metodo tradizionale non riesce a cogliere i meccanismi attivati dalle emozioni che s’innestano al di sotto del livello di coscienza. Tali fenomeni risultano comprensibili  soltanto superando l’approccio tradizionale e indagando su ciò che avviene nel profondo della psiche dell’individuo.

Nozioni e categoria, quelle forgiate dal combinato disposto teoria dei giochi-neuroeconomia, che rappresentano senz’altro un utile ausilio alla comprensione, e alla più agevole prevenzione, delle azioni di soggetti e gruppi organizzati che gravitano nella galassia del jihadismo globale, nonché degli exploit letali dei così detti “Lupi solitari”. In altre parole, mediante questa disciplina innovativa è forse più facile per gli analisti dell’intelligence nostrana e internazionale capire perché e attraverso quali modalità un giovane, nato e cresciuto in Occidente, decida di farsi saltare in aria in mezzo alla folla, sperando di accedere all’agognato paradiso delle 72 vergini.

Aldo Musci