Anni di piombo: Giorgiana Masi, una morte assurda 40 anni fa

Il periodo storico che si estende dagli anni 70 agli inizi degli anni 80, in Italia viene definito con una terminologia molto pesante “Gli anni di Piombo.” In quei dieci anni e poco più, nella nostra nazione ci fu una estremizzazione della dialettica politica che crebbe e si tradusse nelle tragiche manifestazioni di piazza, attuate dai figli della lotta armata e precipitate amaramente in atti di violento terrorismo. Fu una caratteristica preoccupante e inarrestabile del 20° secolo, del cui ricordo non siamo siamo orgogliosi, e continuiamo a venirne sottoposti. Margarethe Von Trotta coniò il titolo del suo film del 1981 “Anni di piombo,” che si adattò perfettamente alle tensioni politiche italiane, che trovavano riscontro, corrispondenza e diverse analogie contemporaneamente con le vicende di estremismo vissute dai tedeschi delle due Germanie dell’Est e dell’Ovest, e con gli artefici della guerra fredda tra gli Stati Uniti d’America e quelli dell’Unione Sovietica. In realtà l’Italia, prima degli anni 70 dovette fare i conti con il 1968 , un “Autunno” decisamente caldo e perfettamente coerente con il terrorismo, che si manifestò con episodi molteplici e sanguinosi, uno dei più efferati fu la strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre del 1969. Ne seguirono altri terribili, con le relative contestazioni.

Quell’esteso decennio, fu definito del “terrorismo di sinistra”o dell'”eversione di destra” e anche dello “stragismo di Stato.” Stragi non bene identificate ma con un’unica matrice, creare instabilità. Ogni commentatore politico espose la sua meticolosa versione delle dinamiche dei moti di contestazione, che alla fine delle dispute avevano come risultato la conta dei morti innocenti, capitati per caso nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Si cercavano i mandanti delle quelle stragi senza trovarli, o si trovavano gli ultimi in ordine gerarchico, e peggio ancora, le vere motivazioni di quegli atti e di quella ingiustizia ancora oggi risultano essere solo violenza pura, capitolati in processi eterni e tradotti in frustrazione. Tra il 1969 e il 1974 in Italia, furono compiuti 140 attentati cruenti, che contarono una lista di morti infinita, la strage della stazione di Bologna fu una delle peggiori, e continua a vivere nelle immagini che conserviamo dentro alla nostra anima come una grave sconfitta alla democrazia del paese. Il 2017 deve farsi carico di un tragico anniversario di tipo stragista, quello dai 40 anni dalla morte di “Giorgina Masi,” meglio conosciuta come “Giorgiana”. Nel tardo pomeriggio di giovedì 12 maggio 1977, la ragazza si trovava in compagnia del fidanzato, il ventunenne Gianfranco Papini nel centro storico della capitale, dove erano scoppiati violenti scontri tra dimostranti e forze dell’ordine in seguito ad una manifestazione proclamata “pacifista” dal Partito Radicale, a cui però si erano aggiunti membri della sinistra extraparlamentare e alcuni esponenti di Autonomia Operaia. Nessuno di loro scherzava o manifestava a caso, ognuno aveva il suo obiettivo, marciavano uniti per affermare in sintesi, che tutti erano contro tutto.

Non si è mai scoperto da chi fu sparato quel colpo di pistola che colpì Georgiana in quel pomeriggio di contestazione, e quel proiettile si portò via la sua vita insieme ai successivi 40 anni di processi naufragati nel nulla, ancorati a verità appena accennate poi negate, a tesi e supposizioni contrapposte, ma con lo stesso risultato finale, la palude delle indagini, il precipizio nel tunnel cieco e senza vie di uscita di quella “Italia repubblicana,” mostro a due teste, sospesa tra il bene e il male. ” Giorgiana Masi”=”Mistero Italiano”. C’è però ancora qualcuno che scava in questa vicenda, cercando di illuminarne i contorni foschi di una morte insulsa. La ragazza, il 12 maggio 1977 era una studentessa romana di 18 anni che camminava su Ponte Garibaldi, a margine della manifestazione che proveniva da Piazza Navona. I dimostranti l’avevano indetta come celebrazione del terzo anniversario del referendum di approvazione al divorzio. Un proiettile partì e la uccise, ma da dove? e per mano di chi?. Il mistero di quella uccisione non è mai stato risolto, e Giorgiana Masi da quel momento divenne il simbolo sacrificale di quella generazione che voleva cambiare il mondo. I radicali con Pannella in testa, accusarono Francesco Cossiga, allora Ministro dell’Interno, di aver dato copertura ai responsabili che non vennero mai trovati, pubblicarono il “libro bianco” (Radicale) accusatorio, dal titolo “Cronaca di una Strage”. Vennero riportati i dati relativi all’uccisione della ragazza in loro possesso. Giorgiana (si legge tra le pagine) avrebbe avuto “la bocca chiusa e i denti serrati, i grandi occhi neri sbarrati”. Quell’istantanea portò sulle prime a trascurare la morte per colpa di un’arma da fuoco, ma fu contestualizzata nei primi momenti dal colpo, come causa di una malattia, come se quel corpo steso a terra fosse stato colpito anzichè da un proiettile vagante, da un grave attacco epilettico o da una qualche stranezza del caso. Qualcosa di molto grave accadde certamente, ma è solo la memoria che riordina malamente le cose. Nessuna ferita e nessuna perdita di sangue furono notate in quegli istanti su quel giovane corpo, che invece fu straziato da un proiettile che la colpì all’addome lasciandola priva di vita sull’asfalto. Successive alla manifestazione, furono pubblicate una serie di fotografie che innescarono forti polemiche, le immagini immortalavano i dimostranti che dopo quell’evento tragico, testimoniarono e confermarono che agenti di polizia in borghese e altri in divisa presenti alla manifestazione, sparavano ad altezza d’uomo a casaccio sulla folla. Cossiga e il Parlamento negarono ogni responsabilità nella vicenda, addossando l’accusa ai dimostranti dell’ultima ora. Solo negli anni successivi, il futuro Presidente della Repubblica Italiana, dichiarò che la studentessa era rimasta vittima del “Fuoco Amico” dei manifestanti.

La ferocia del leader Radicale Pannella alle dichiarazioni di Cossiga, esplose con tutta la furia, rigettando quelle accuse. Le ipotesi prese in considerazione, le più accreditate dai giudici coinvolti nei processi, oltre al “Fuoco Amico”, (ma quale fuoco amico può uccidere?) furono un proiettile addebitato a frange autonome, o sparato per mano della polizia in borghese munita forse, di una pistola non d’ordinanza, per altro mai individuata. Georgiana Masi e la sua morte, rimangono nella storia del terrorismo Italiano senza matrice o di matrice sconosciuta, o di tante matrici non definite, ma annoverate tra i misteri repubblicani senza senso, comunque privi di colpevoli e di giustizia. Inneggia ancora oggi dopo 40 anni, lo sconforto della rabbia di chi soccombe annientato dal caso e dalla mancata ragione, e sprofonda nell’insabbiamento di morti senza colpevoli, a causa delle trame politiche della “Repubblica Italiana.”