Da oggi inizia la collaborazione con loralegale.eu il noto giornalista Rai e scrittore Luciano Scateni, profondo conoscitore di realtà disagiate giovanili legate all’Istituto Penale Minorile di Nisida. Ci racconterà storie in cui degrado e illegalità sono l’uno la conseguenza dell’altro, descrivendoci ambienti e situazioni dove le nuove generazioni continuano a nascere senza speranza.
In un giorno qualunque di anni ora alle spalle, la voglia imperiosa di mettere in parentesi la routine della quotidianità professionale, della televisione irregimentata in schemi precostituiti, che seleziona e amplifica l’accaduto quasi passivamente, a rimorchio della cronaca, di eventi nuovi e vecchi, antichi, ripetitivi nella loro apparente diversità. Il computer rimanda le news dell’Ansa con l’abituale tempestività che accende l’interesse dei media. “Eduardo a Nisida” è il titolo del flash. Il maestro ha di queste sensibilità e le sperimenta chiedendo di guardare negli occhi i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile che domina l’isolotto di Nisida ( nella foto), un tempo circondato dal mare, poi cucito alle propaggini di Posillipo da un istmo in cemento. “Nesis”, la piccola isola, accoglie una cinquantina di ragazzi ristretti nella struttura carceraria, impedita a chiunque non sia impegnato nei progetti di recupero dei giovanissimi reclusi. Il pass è concesso da un direttore liberale, innovatore, convinto indipendentista dalla rigidità di norme e prescrizioni della burocrazia ministeriale. Una delle celle è temporaneamente vuota, in attesa di Gennarino. “Chi è?” “Uno di mille uguali. Scippatore seriale, precoce corriere dell’eroina, neppure la quinta elementare. Sesto figlio di una prostituta e di un magnaccio manesco, alcolizzato, capo riconosciuto di una baby gang. I pronostici del ghetto dove ha meritato il rispetto dei coetanei e non solo il loro lo proiettano al ruolo di boss in rapida crescita. Arriva scortato da due agenti penitenziari. Lui ha coraggio, autorevolezza e secondo i canoni della marginalità criminale non delega, sempre primo nel pericolo e nell’azione. Anche quella volta del blitz, duecento tra carabinieri e poliziotti a setacciare il quartiere. Li ha sfidati dopo aver messo al sicuro i giovanissimi spacciatori che gli “stanno sotto”. La sosta nel Tribunale dei Minori, la condanna, Nisida. L’Istituto proietta un film nella sala comune, forse con intenti pedagogici. Zorro toglie ai ricchi per dare ai poveri, cavaliere senza macchia né paura al servizio degli oppressi. Gennarino se ne sta in disparte nel largo piazzale che ospita la direzione dell’Istituto. Guarda lontano. Oltre la distesa di mare in burrasca dove si legge il profilo di Ischia. Gli hanno raccontato che è bella, come una regina del Tirreno, d’estate viva, rigogliosa. “La conosci? “Quanno maie, ma ce vaco” “Con chi?” “Cu Meri” “Hai una ragazza” “E’ ’a vita mia”. Sul viso di Gennaro si legge l’impatto precoce con l’esclusione dalla normalità dell’infanzia, il piglio duro, quasi arcigno, la diffidenza, l’allerta contro tutto e tutti, la consuetudine a un protagonismo conquistato a duro prezzo. Tutto cambia quando si lascia attraversare dall’immagine di “Meri”. “Gennaro, diciotto mesi qui dentro, per cosa. Qualche euro di più in tasca. Quasi tutto il resto è per tua madre e tuo padre. Vale il rischio di finire in cella? ”. “No. Quann’esco aggià fa ’na rapina comme dich’io”.
Quasi mi dimentico di Gennarino, ma per poco. Me lo ricordano gli scugnizzi che assaltano la pensilina di attracco degli aliscafi a Mergellina, schiaffeggiano i passeggeri in attesa e si tuffano rapidi, sghignazzando. Me lo ricordano le baby gang che rapinano i coetanei e li picchiano, i minorenni che senza una ragione si scagliano contro gli autisti dei bus, i passeggeri della metro, della Circumvesuviana, che scippano i turisti e infieriscono sulle vittime, ai bulli che umiliano compagni e compagne di scuola per la loro presunta diversità. In una scuola di Ponticelli a parlare di legalità l’insegnante mi racconta che un paio di alunni entrano in aula con la pistola o un coltello in tasca. Chiedo a una loro compagna cosa desidera. “Vulesse ascì sotto ’o braccio cu Sasà”. Sasà, mi dicono è un capobanda in erba, la protezione, il rispetto di tutti.
E Gennarino? Di nuovo a Nisida, con licenza di “girare” uno speciale sui ragazzi detenuti, mi spiazza la visita al laboratorio di fotoincisioni. Il docente, con un gruppo di ragazzi è alle prese con l’imminente uscita del giornale di Istituto e più di altri è impegnato Gennaro. Si devono a lui le immagini a corredo delle otto pagine del settimanale “Nisida”. Il direttore racconta di una metamorfosi miracolosa. “Spesso così. Se fai scoprire a questi ragazzi mondi a loro distanti anni luce, scopri che vi si affacciano per cancellare passato, luoghi d’origine, ragioni che li hanno portati ai margini e oltre della legalità, alla detenzione. Succede per chi sceglie di fare teatro o impara a diventare cuoco, falegname, meccanico”.
Il perbene di chi si vanta di appartenervi spesso peggiora con malefica facilità, involve in perbenismo, patologia con radici e propaggini diffuse nel mondo dei privilegi ottenuti gratuitamente, per mera benevolenza della sorte. Come essere nati in case che non conoscono la fatica di arrivare a fine mese, dove le librerie accolgono centinaia di libri, dove si parla in italiano e s’impara senza alcun impegno o applicazione specifica il Galateo di Monsignor della Casa. Dove però sono diffusi e dominanti pensieri rigorosamente classisti del tipo “E’ un delitto. Un luogo incantato qual è Nisida riservato a piccoli delinquenti che si godono quel ben di Dio. So io dove li manderei” Parole in bocca a chi finge di ignorare l’indecente visione metropolitana di quanti, senza soluzione temporale di continuità, hanno esiliato masse di abitanti di Napoli nei ghetti del Traiano e da ultimo di Scampia, privandoli della promiscuità sociale che agevola l’integrazione fra ceti diversi. Gli emarginati non possiedono l’energia dialettica per contestare l’esclusione e tanto meno la percezione del diritto all’eguaglianza che stenta a trasformarsi in rivendicazione collettiva. Un operatore dell’istituto mi confida che i ragazzi di Nisida indossano la maschera dei duri, difesa e attacco per la sopravvivenza, che nascondono come una vergogna la sofferenza per la lontananza della madre, della casa, degli amici, per la privazione della libertà, più dura proprio tra le mura dell’istituto proiettato nelle meraviglie del golfo che cinge i Campi Flegrei. Qualcuno piange se gli chiedi della mamma, come tuti i figli del mondo, forse di più e svela tutta la fragilità nascosta per necessità nella giungla dei quartieri ghetto.
Gennaro ci crede: ora può inventarsi una nuova vita e spenderla nel mestiere di fotoincisore, rodato a Nisida. “Che fare, si chiede disorientato il direttore dell’Istituto, rischiamo di perderlo di nuovo”. Ci siamo, una rapida esplorazione rivela che un grande, importante quotidiano, ha urgenza di rimpiazzare il foto incisore, in età di pensionamento. “Gennaro” proponiamo al capo del personale che sappiamo sensibile alla solidarietà sociale. Il sì del dirigente proietta il giovane reduce da Nisida nella “rivoluzionaria” dimensione di lavoratore qualificato. Mi dicono della sua irreprensibilità, del ruolo sempre più qualificato nel reparto fotografie del giornale con un contratto annuale di formazione lavoro. Trovo una mail nella posta. E’ di Gennaro è l’invito a pranzo nella casa modesta ma dignitosa che abita nel centro storico della città. Sulla soglia mi accoglie una persona che stento a riconoscere. Dal viso del giovane è sparita l’espressione di arroganza di ragazzo pieno di rabbia. Accanto a lui Tiziana, la donna che sta per dargli un figlio, dolce, evidentemente innamorata. Miracolo? Per chi ci crede
Caspita, mi chiedo, se n’è già andato un anno, cosa vorrà Gennaro… L’SMSa mi chiede “Ci vediamo?” E’ inclemente questo autunno del mondo climaticamente sconvolto dagli egoismi cosmici dell’umanità. Fa freddo sulla striscia di cemento che unisce la collina di Posillipo a Nisida. Ha voluto incontrarmi proprio li, dove ora può passeggiare al mio fianco, liberamente. “Non mi hanno rinnovato il contratto riesce a dire” e fa fatica. “Hanno favorito un parente del caporedattore, che fotoincisore non è. Che farò della mia vita, di quella di Tiziana, del figlio che nascerà?” Non ho potere, non so più aiutarlo. Spero che il destino gli dia di nuovo una mano.
“Pronto, sono il direttore di Nisida. Si ricorda di Gennaro? Cattive notizie. Ha riagganciato il giro di giovani criminali, lo hanno arrestato, è a Poggioreale”. Dai tornanti di Posillipo Nisida si staglia nitida in questo clima di tramontana. Mi chiedo perché non mi piaccia più “L’isola che non c’è”.
Luciano Scateni
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