Errori investigativi: le indagini tra teoria e realtà

Sempre più spesso si sente parlare di “Indagini sbagliate”, di errori investigativi, nè risulta nuova agli scenari della cronaca la sconsolante esclamazione “tutto da rifare”

Sherlock Holms sosteneva che “l’investigazione è, o dovrebbe essere una scienza esatta e quindi,dovrebbe essere trattata in maniera fredda e distaccata”.

Ma non dobbiamo dimenticare che l’investigazione è un fenomeno umano ed in quanto tale soggetta ai limiti dell’essere umano, e quindi suscettibile di errori.

Purtroppo l’errore, e soprattutto quello investigativo, nel nostro sistema, non produce solo effetti nella fase in cui viene commesso, ma si ripercuote a cascata su tutte le altre fasi successive,fino addirittura alla pronuncia di un’eventuale sentenza.

Ma un’indagine nata male può finire anche peggio; pressapochismi investigativi, intuizioni che diventano tesi, sospetti che prendono il sopravvento,formazione di  auto convincimenti riverberanti, tesi di cui ci si innamora….ed ecco l’errore investigativo, dal quale si passa facilmente all’errore giudiziario.

Indagini sbagliate possono essere l’anticamera della condanna in carcere di un innocente, che diventa vittima di ingiusta detenzione; errori giudiziari che segnano pesantemente e profondamente le vite, trascorse – ingiustamente – dietro le sbarre.

L’emblema degli errori giudiziari italiani è sicuramente rappresentato dal caso Tortora.

Spesso l’errore risiede proprio nelle fasi iniziali, ab origine e cioè già sulla  scena del crimine, che è la naturale  depositaria e custode di tracce, indizi, residui di ogni genere, unico terreno capace di fornire idoneo e valido percorso per la ricostruzione delle dinamiche.

Una  volta scattato l’allarme, non è raro che quella preziosa tesoriera che è la scena criminis venga facilmente inquinata o non adeguatamente preservata dai fattori esterni; la  contaminazione del luogo del crimine  va a compromettere sicuramente il buon esito di un’attività di indagine.

Si pensi cosa è accaduto con l’omicidio di Meredith Kercher il cui processo ha avuto la riuscita di una maionese impazzita. L’arma del delitto, un coltello monofilare, uguale a miliardi di altri coltelli da cucina, venne individuato a casa di Raffaele Sollecito e sequestrato solo 5 giorni dopo l’assassinio, ma come ci è arrivato non è dato saperlo.

Dai test di laboratorio emerse che il DNA isolato sulla lama del coltello combaciava con quello di Meredith, mentre quello prelevato dal manico apparteneva ad Amanda Knox. Inoltre il DNA ritrovato sul fermaglio del reggiseno di Meredith era quello di Sollecito. Prove ineluttabili con cui l’accusa aveva ottenuto l’incarcerazione dei due ragazzi.

Il test del DNA avrebbe dovuto costituire una prova schiacciante ed incontrovertibile. Ma per essere tale la raccolta del campione sarebbe dovuta essere scrupolosa e avrebbe dovuto seguire uno specifico protocollo, che, dai filmati effettuati durante i sopralluoghi avvenuti in più riprese, non è stato seguito, comportando una vera e propria contaminazione dei reperti.

I periti della difesa hanno sempre contestato l’operato della polizia scientifica nei sopralluoghi e, a seguire i risultati delle analisi. Secondo loro il problema del DNA  di Raffaele Sollecito sui gancetti non si sarebbe dovuto nemmeno porre; quei gancetti inizialmente trovati e fotografati vicino al letto sono stati repertati solo dopo 46 giorni e ritrovati ad almeno un metro di distanza da dove erano stati fotografati.

Conseguenza di tutto ciò  “in dubio pro reo” assoluzione piena.

Errori eclatanti sono stati commessi anche  nelle indagini relative alla strage di Erba; da citare è l’accertamento compiuto sull’autovettura di Olindo Romano, una SEAT AROSA grigio chiaro che dai dati riscontrati, risultava targata CF274GX.

Tra le varie incongruenze quella più imbarazzante si evince dall’esame del verbale del Fascicolo dei rilievi tecnici effettuato sulla SEAT. Si legge testualmente nel documento diffuso su internet <<fascicolo fotografico relativo all’autovettura Seat Arosa  targata CF274GX di proprietà di Romano Olindo>> e tre righe più giù si legge <<verbale  di accertamenti urgenti, eseguito sull’autovettura  SEAT AROSA di colore grigio targata AX337YP di proprietà di Romano Olindo>>; ecco il grave errore: la targa indicata non è assolutamente quella  dell’auto di Olindo, ma corrisponde alla vettura di Carlo Castagna, l’allora sopravissuto alla strage.

Errore questo non di poco conto che porta ad inficiare il risultato dell’esame eseguito, dal momento che non consente di identificare con certezza il veicolo.

Di casi se ne potrebbero citare un’infinità, tanto da non bastare lo spazio.

Ciò non toglie che l’attività investigativa costituisce un impegno professionale delicato e difficile, con assunzione frequente di responsabilità e rischi, che non può essere certo improvvisato, in quanto presuppone un’adeguata preparazione giuridica, capacità di analisi e di sintesi, spirito di sacrificio, elasticità mentale, prontezza di riflessi e soprattutto, una profonda esperienza.

Nell’esercizio di questa funzione delicata e sempre di maggior livello, bisognerebbe osservare ed analizzare tutto con obiettività, freddezza, distacco, senza coinvolgimento personale, senza forzature e senza manipolazioni.

Questa la teoria…! Ma sul campo viene osservato minuziosamente tale protocollo?

Non è sicuramente una passeggiata!

Quindi io farei leva sul buon senso dell’essere umano, sulla necessità che le posizioni più deboli, gli altrui diritti, siano ogni volta trattati con il dovuto rispetto e con la necessaria considerazione, quali presupposi principali richiesti da qualsiasi regola di deontologia professionale.

Un auspicio per il futuro? Sarebbe opportuno che ogni valutazione rimanga sempre basata sui pilastri della coerenza, scienza e della ragione e mai su “interessi di bottega, di immagine o di carriera”.

Carla Santoro