Elezioni iraniane. I temi dell’economia quelli che hanno deciso il voto. Meno ideologia, più moderato pragmatismo

Uno dei motivi che rende difficili i rapporti politici con il mondo musulmano è che non lo capiamo. E molto spesso non lo capiamo a causa della nostra presunzione di essere “il migliore dei mondi possibili” come avrebbe detto Pangloss, il maestro di Candide. Riteniamo che la nostra scala di valori sia l’unica possibile e che tutti debbano ragionare secondo i nostri parametri per far parte della koinè del mondo moderno.

Non siamo molto lontani dagli antichi greci e romani che definivano barbaro tutto quello che fosse al di fuori della loro visione del mondo e che quando poi si trattò di farci i conti con questo mondo “barbaro” non seppero più che pesci pigliare.
Intendiamoci, lungi da me fare apologia di sistemi dove la religione sostituisce il codice civile e penale o lasciarmi affascinare dal terzomondismo estremo, caro a tanta sinistra nostrana, che ha fatto spesso prendere lucciole per lanterne e scambiare tristi figuri per eroi del progresso ma qualche riflessione più approfondita e meno arrogante ci potrebbe aiutare ad evitare errori grossolani.

L’Occidente spesso vede solo quello che vuole vedere. Vede le cose non come stanno ma come le desidera vedere. Prestigiatori e politici hanno molto in comune: creano illusioni così perfettamente costruite che si finisce per scambiarle per realtà. E l’informazione, salvo poche eccezioni, segue il mainstream e semplificando tutto non aiuta a comprendere quanto ci succede intorno.

Prendiamo per esempio le recentissime elezioni iraniane. A sentire i telegiornali hanno vinto i “progressisti” che a Teheran hanno fatto cappotto: 30 deputati su 30. Ma il risultato elettorale è piuttosto un pareggio. Da sempre il sentire delle capitali non necessariamente è il sentire del resto del paese. Succedeva anche da noi ai tempi del referendum sul divorzio, ad esempio, il voto delle città era progressista e quello della campagna conservatore.

Potremmo per comodità dividere i politici iraniani in “riformisti”: più disponibili ad aperture verso l’Occidente e ad allargare le maglie del controllo interno, “pragmatici” che vorrebbero solamente un maggior dinamismo nell’economia senza scardinare i pilastri della società tradizionale, “principalisti” che non vogliono mettere in discussione le scelte etiche ed ideologiche del Khomeinismo ma che ne vorrebbero un’applicazione più blanda e di buon senso, senza eccessi, “ultraconservatori” che vorrebbero invece il massimo rigore sia nelle scelte di politica estera che interna e infine “indipendenti” che cercano di mediare tra queste varie posizioni.

Nessuno di questi riformisti si sognerebbe di tornare ai tempi dello scià. Quando le donne potevano vestire all’europea, senza portare il velo, ma la polizia politica poteva irrompere nelle case in cerca di oppositori e portare il sospetto in qualche cella segreta e poi non necessariamente rilasciarlo. Il trionfo khomeinista fu reso possibile da questi metodi anche se poi i guardiani della rivoluzione a parti invertite hanno finito per adottarli. Tutti ricordano i tempi di Mossadeq il ministro colpevole di volere che le multinazionali del petrolio pagassero di più i diritti di estrazione e per questo eliminato dalla scena politica.

Gli iraniani hanno votato per un moderato pragmatismo, difficile da definire progressista secondo i nostri parametri, e hanno anche eletto 15 donne, difficili da vedere in posti di responsabilità in paesi come l’Arabia Saudita nostro principale alleato nell’area. Le questioni ideologiche, ora che i furori rivoluzionari hanno perso molto slancio, hanno influenzato il voto in misura molto minore di quanto si possa pensare. Sono i temi dell’economia quelli che hanno deciso il voto. L’Iran, nonostante tutto il suo petrolio, non riesce a far decollare i consumi interni a causa dei lunghi embarghi dovuti alla nota questione nucleare e del conseguente isolamento internazionale. Gli Iraniani vorrebbero un maggior benessere diffuso ed un riconoscimento internazionale del loro ruolo di potenza regionale in una zona dove impazza l’Isis sulle macerie della Siria e dell’Iraq.

L’Occidente potrebbe avere tutto l’interesse a far sì che questi obiettivi vengano raggiunti a patto di avere un interlocutore sostanzialmente affidabile e soprattutto pragmatico e bene ha fatto Obama a muoversi in questa direzione. Per tutto il resto (diritti umani, libertà di pensiero e altro) si vedrà. Perciò smettiamola di voler vedere quello che vogliamo vedere e ricordiamoci che le cose sono sempre più complesse di come appaiano. Pragmatismo contro pragmatismo e senza farsi illusioni. Ma non dimentichiamoci che il “riformista” Rohani ha fatto inscatolare le statue nude ai musei capitolini e si guarderebbe bene dal dare ad un omosessuale gli stessi diritti di chi non lo è. Come dite? Anche da noi? Eh, già, proprio così.

Gianvittorio Musante