Morire sulla cresta dell’onda a 27 anni, fu questo il triste epilogo dell’ascesa di Denis Bergamini nell’olimpo del calcio professionistico; la sua carriera incarnava la realizzazione di un sogno che migliaia di ragazzi accarezzavano palleggiando nel cortile di casa: diventare un calciatore professionista.
Donato Bergamini, detto Denis, nasceva nel 1962 a Boccaleone, nella provincia di Ferrara, e lì cresceva con il pallino del calcio; giovanissimo insegue la sua passione giocando in alcune squadre minori.
E’nel 1985 che il giovane calciatore riesce a fare il salto: viene acquistato dal Cosenza che in quegli anni militava in serie C1.
Denis si impegna; in campo non si risparmia e, grazie anche alla sua resistenza fisica e alla capacità di intercettare la palla, contribuirà a riportare la squadra calabrese in serie B, tra le fila del calcio che conta.
A pochi mesi dall’arrivo in Calabria, Denis conosce una studentessa universitaria, Isabella Internò; la loro storia, che tutti definiscono intensa ma tormentata, finisce nel luglio del 1988.
Denis nel frattempo attira l’attenzione di importanti società calcistiche; a bordo della sua Maserati bianca l’ex ragazzo di provincia incarna l’emblema del successo; è giovane, bello e ricco, ha fatto del suo sogno il suo lavoro.
Ma tutto si interrompe bruscamente la sera del 18 novembre 1989; il sogno si infrange sull’asfalto della statale 106 Jonica, al km 401.
Intorno alle 19:30 i Carabinieri ricevono una richiesta di intervento per un incidente stradale con esito mortale, in cui ha perso la vita un giovane che viaggiava su una Maserati bianca.
La notizia si diffonde in pochi minuti: la vittima dello scontro è il centrocampista del Cosenza Denis Bergamini; secondo quanto emerso dai primi accertamenti effettuati, il giovane si sarebbe buttato volontariamente sotto un camion, un Fiat Iveco 180 carico di mandarini.
La notizia viene battuta da tutte le agenzie: “il calciatore ferrarese Denis Bergamini si è ucciso per amore”.
La ricostruzione dell’epoca è contenuta nei verbali del brigadiere dell’Arma Barbuscio, ora defunto, sulla scorta degli accertamenti e delle testimonianze; questo il resoconto che emerge:
attorno alle ore 16: 00 di quel 18 novembre, Bergamini che era in ritiro con la squadra del Cosenza presso il Motel Agip, dovendo disputare l’incontro con il Messina, telefona alla sua ex fidanzata, Isabella Internò, chiedendole di uscire perché doveva dirle delle cose importanti. Avendo la ragazza acconsentito, il Bergamini alle 16:30 la passa a prendere sotto casa a bordo della sua Maserati.
Salita in auto, alla Internò le veniva chiesto di accompagnarlo a Taranto perché doveva imbarcarsi dovendo lasciare l’Italia. Infatti percorsero l’autostrada e successivamente la SS 106 Jonica.
Alle 17:30 venivano fermati al posto di blocco capeggiato dallo scrivente (il brigadiere Barbuscio) per poi proseguire e fermarsi a circa quattro chilometri da Rosato, esattamente al km 401, in uno spiazzo sulla destra. Qui hanno conversato fino alle 19:15 circa, e l’oggetto della conversazione, secondo l’assunto reso dalla Internò, aveva come oggetto la sua partenza.
Secondo la deposizione della ragazza Denis voleva imbarcarsi per raggiungere l’Amazzonia o le Hawaii, perché si era stufato del calcio e dell’Italia; Isabella avrebbe provato a farlo desistere. All’improvviso Denis sarebbe sceso dalla Maserati, ferma nella piazzola, senza indossare il giubbotto nonostante la pioggia, avrebbe tentato di chiedere il passaggio a due o tre macchine…e ad un tratto si sarebbe buttato sotto le ruote anteriori di un grosso automezzo, tuffandosi nella stessa posa con cui si fanno i tuffi in piscina.
Così sarebbe morto Denis Bergamini secondo le dichiarazioni dell’ex fidanzata che era con lui in quel momento, “Si è suicidato per amore”, disse, “perché voleva che io partissi con lui all’estero ma io non ho accettato”; una versione che sin da subito non ha mai convinto i familiari, che hanno fino a oggi perseguito tenacemente la verità.
Da subito furono riscontrate anomalie nella dinamica dell’incidente; troppe cose non tornavano.
Se davvero Denis era stato trascinato sull’asfalto dalla ruote del camion che trasportava arance perché le scarpe, l’orologio e la catenina erano intatti?
Perché il suo corpo non presentava segni di trascinamento secondo l’autopsia eseguiti ben 50 giorni dopo la morte?
E perché i vestiti del ragazzo scomparvero senza essere riconsegnati alla famiglia? Invece la sua auto risultò che era stata lavata e lucidata.
Che la verità non fosse quella era chiaro sin dall’inizio, Denis Bergamini non aveva nessun motivo per togliersi la vita; tante incongruenze, contraddizioni e anomalie nelle dichiarazioni dei testimoni e nella ricostruzione delle dinamiche, nonché rilievi e accertamenti non fatti o fatti male….elementi che fanno a pugni con l’ipotesi del suicidio, eppure è questo che si è voluto vedere e per oltre ventisette anni la verità sulla misteriosa morte del brillante giocatore del Cosenza è rimasta nascosta.
Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire come si è giunti ad una inziale archiviazione del caso come suicidio. Tutto parte dall’autopsia effettuata sul cadavere.
Con inspiegabile ritardo, il pm Ottavio Abbate solo a gennaio del 1990, quindi un mese e mezzo dopo la morte di Denis, decide (chissà!) di far eseguire l’autopsia su Bergamini e ordina la riesumazione del corpo.
La perizia è condotta dal professor Avato, che scatta una serie di foto fondamentali e fa le sue ipotesi in una consulenza che avrebbe dovuto ripetere durante l’incidente probatorio, diventando una prova da utilizzare in un eventuale processo.
Ma questo non accade: il pm Abbate ha ritenuto di non dover ascoltare il professore Avato, durante l’incidente probatorio; dopo Abbate, anche il pretore Mirabile sentenzia: Bergamini si è gettato sotto il camion. E poco importa se la foto scattata da Avato e la relazione medico-legale suggeriscano altre conclusioni, che hanno un nome molto diverso dal suicidio.
Il professore Avato fa notare sin dal principio che c’è stato un unico punto d’impatto tra il mezzo pesante ed il calciatore. E come sia impossibile il trascinamento, come le ferite siano concentrate solo su una parte (il fianco destro) e riconducibili a un sormontamento del camion, vale a dire le ruote fatte passare sopra un corpo steso per terra (e già cadavere come diranno le recenti consulenze, a partire da quella del Ris).
Ma sul resto del corpo il giocatore non presenta ferite, i vestiti (come dimostrano altre foto scattate sul posto da Barbuscio) sono intatti, le scarpe ben strette ai piedi, persino le calze sono perfettamente sistemate..
Gli inquirenti non cambiano idea neppure dopo l’autopsia di Avato, anzi, quella perizia finisce dimenticata, l’incidente probatorio evaporato.
Nel cadavere furono riscontrate anche tracce di alcol etilico pari allo 0,6 ed una sofferenza polmonare, eppure Bergamini era astemio e non aveva mai avuto problemi respiratori. La sofferenza polmonare riscontrata dal prof Avato durante l’autopsia, induceva il perito Bolino ad ipotizzare che il calciatore potesse essere stato asfissiato meccanicamente magari mediante l’applicazione di un sacchetto di plastica aderente al volto. Ciò avrebbe comportato una morte rapida con rapido stato di sofferenza anossica, tale da consentire il posizionamento del corpo sul manto stradale ad opera di terzi. E’ per questo che non ci sono tracce di condotta difensiva, anche istintiva.
Alla luce di tutto ciò risulta difficile comprendere come sia stato possibile archiviare l’inchiesta come suicidio; riaprirla nel 2011, laddove l’anno successivo una perizia del Ris stabilì che Denis era già morto quando era finito sotto le ruote del camion, per poi essere nuovamente archiviata nel 2015 dal gip di Castrovillari, Annamaria Grimaldi, con tale motivazione: «Dall’attento esame del copioso materiale investigativo in atti e dalla disamina dei vari accertamenti eseguiti, è emersa, a parere del giudice, l’infondatezza della notizia di reato, da intendersi come assoluta mancanza di elementi di prova efficacemente rappresentativi della sussistenza del delitto».
Bisogna attendere ventotto anni per avere una nuova e decisiva svolta; oggi il Procuratore della Repubblica di Castrovillari, Eugenio Facciolla, ha riaperto le indagini; il 2 maggio verrà riesumato il corpo per fare nuovi accertamenti alla luce delle recenti tecniche investigative.
Due informazioni di garanzia sono state notificate all’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò, e a Raffaele Pisano, conducente del camion che investì il calciatore.
Il Pm Facciolla in un’intervista a RaiSport ha dichiarato: «Emerge un mix di questioni sentimentali e di questioni legate ad altre tematiche. Il discorso droga è presente fin dai primi atti dell’indagine… Sembrerebbe una vicenda chiusa in un rapporto tra pochi soggetti che evidentemente hanno goduto di protezione ed è stata creata una cortina fumogena per evitare che venisse fuori la verità».
Anche se non si affievolisce la voce che invoca giustizia e verità, 28 anni sono davvero tanti, e diventa ancora più gravoso ed intollerante il pensare che gli assassini di Denis abbiano goduto della loro libertà per un tempo così interminabile.
Come dimostrato, anche dopo una, due o più archiviazioni un caso può sempre riaprirsi per acclarare verità negate, nascoste o insabbiate.
L’auspicio è che la macchina della giustizia utilizzi i suoi tempi con maggiore parsimonia e che quanto di sbagliato sia stato commesso sia di monito nella proficua risoluzione di casi che presentano analogie con la vicenda di Denis Bergamini, come la vicenda di Mario Biondo, Anna Esposito, Attilio Manca: tutti giovani brillanti che sono stati strappati alla vita da chi si è convinto che inscenare un suicidio garantisce l’impunità dall’omicidio.
Carla Santoro
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