Delitti irrisolti: il caso Ellen Dorothy Jeannette Bishop, la “Baronessa”

Era una donna con molta classe e portava un nome evanescente, si chiamava Ellen Dorothy Jeannette Bishop, la “Baronessa”. Le sue caratteristiche fisiche, la sua loquacità e quella consapevolezza di appartenere al mondo che conta colpirono uno dei rampolli della famiglia Rothschild, i due convolarono in breve tempo a nozze unendo i loro altisonanti cognomi. Il marito apparteneva alla ricca borghesia Britannica, facendo parte della famosissima famiglia di banchieri londinesi, si chiamava “Evelyn Rothschild”. La relazione però naufragò in breve, ma durò il tempo sufficiente per consentire alla Baronessa di piantare radici stabili nelle pieghe piu’ profonde della “high society” londinese. Divorziò dal primo marito, in seguito Jeannette ne sposò un secondo “Stephen Charles May”, che l’assecondò nelle sue grandi passioni, l’arredamento e i viaggi. Gli spostamenti ai quali partecipava la baronessa, potevano essere fatti in solitaria, in compagnia di Stephen o insieme agli amici piu’ svariati. Amava in particolar modo venire in Italia, tanto che comperò una casa a Schito a pochi chilometri da Sarnano (nella foto) in provincia di Macerata, regione delle Marche. Nel novembre del 1980 si dedicò con molta passione ai lavori di restauro della nuova dimora, esprimendo le sue qualità di arredatrice. Jeannette non aveva molta padronanza della lingua, nei primi tempi del suo soggiorno in Italia, perciò invitò un’amica a seguirla, Gabriella Guerin.

Quest’ultima era una udinese che divenne molto assidua nell’accompagnarla, assumendo il ruolo di segretaria, di interprete e di amica fidata, si occupava di qualunque cosa Jeannette avesse bisogno. Il legame tra le due donne crebbe e diventarono inseparabili. Nel novembre del 1980, il giorno 29 per l’esattezza, le due donne, giunte per controllare l’andamento dei lavori della nuova casa di Schito, si trovavano in un borgo medievale in provincia di Macerata sulle pendici dei monti Sibillini non distanti da Sarnano, e in quella data scomparvero. Proprio nel tardo pomeriggio. Jeannett e Gabriella furono notate mentre salivano a bordo della loro auto, dopo aver lasciato la pensione in cui avevano alloggiato e le videro allontanarsi. Da quel momento ci fu il mistero ad avvolgere l’evento, due donne dissolte nella frazione di un secondo, tanto bastò perchè la notizia facesse il giro del mondo e in un tempo ancor minore di una frazione di secondo. Il 18 Dicembre di quell’anno a circa 15 giorni dalle ricerche, a una quota di 900 metri nella località “Ferrano di Acquacanina” sui Sibillini, un elicottero avvistò la loro auto, era una Peugot 104 di colore nero.

L’ispezione dell’automezzo non diede chiarimenti sulla loro scomparsa, la macchina era regolarmente chiusa a chiave e parcheggiata su un lato della strada, aveva il freno a mano inserito. Dentro nessun elemento di rilievo, nessun disordine, solo qualche oggetto qualunque, ma nulla che portasse qualche indicazione nelle ricerche o facesse pensare a una colluttazione o tanto meno a una disgrazia, nessuna traccia evidente sulle due amiche. Proseguirono gli accertamenti e stabilirono che l’auto non aveva subito nessun guasto, ma a poca distanza da quel luogo c’era una piccola costruzione una casetta in stato di abbandono, fu li che i carabinieri incaricati delle indagini trovarono tracce del passaggio delle due donne. La prima ipotesi fu che Jannette e Gabriella si fossero trovate in una bufera di neve e avessero cercato un riparo nella notte tra il 29 e il 30 novembre. Seguì un brusco arresto delle indagini perchè per molti mesi la faccenda fu avvolta dal buio assoluto, nessuna prova, nessun elemento emersero per dare impulso alle ricerche. Il rapporto degli investigatori di Camerino del gennaio 1982 prendeva in seria considerazione l’ipotesi della disgrazia, supponeva che le due amiche fossero morte assiderate mentre cercavano un rifugio alla bufera, il marito di Jeanette intanto, richiedeva al gruppo degli inquirenti accertamenti più accurati, Stephen May pretendeva di sapere che fine avesse fatto la moglie, tra le ipotesi ventilate veniva presa in seria considerazione anche quella del rapimento a scopo di estorsione. La stampa inglese nel frattempo si accaniva parlando del “giallo del secolo”e si scatenava contro l’ incapacità investigativa italiana. La svolta nelle indagini ci fu a distanza di piu’ di un anno dalla scomparsa delle malcapitate, quando due cacciatori, in un bosco nei pressi del lago artificiale di Fiastra trovarono alcuni resti di scheletro umano, che in seguito il medico legale stabilì appartenessero alle donne, furono ritrovati anche alcuni effetti personali. Lo stesso anatomo- patologo stabilì con certezza, tramite l’esame comparato della radiografia del cranio e della mappa dentale, che i resti ritrovati erano della Baronessa, e certificò che la morte delle due amiche Jeannette e Gabriella sarebbe avvenuta un mese dopo la loro funambolesca scomparsa, proprio lì in quel luogo in quel boschetto, ma non per mano di chi. Il caso passò alla Procura di Macerata nelle mani del dottor Alessandro Jacoboni che aprì un fascicolo per “omicidio volontario.” Molte le incongruenze di quell’accaduto, il groviglio di ipotesi inestricabili invece di incontrare una soluzione appariva sempre piu’ complesso e assurdo, assumendo i contorni di una sciarada irrisolvibile. Poi arrivò Scotland Yard, che indagando su un omicidio parallelo, quello della morte di un noto antiquario romano Sergio Vaccari, avvenuta nel settembre 1982 a causa di 15 coltellate nel suo appartamento a Londra in Hollad Park, scoprì dei contatti avvenuti precedentemente tra Jeannette De Rothschild May con il gioielliere. Collegati tra loro i casi, lo erano tramite un furto di gioielli avvenuto nella notte tra il 30 novembre e il 1 dicembre, ai danni della casa D’Aste ” Christie’s” nella sede di Piazza Navona a Roma. I nessi non sono chiari, ma esistono. Come tutti i grandi misteri, anche questo rischia di dissolversi senza nessuna verità, nessuna certezza, e soprattutto senza nessun colpevole incriminato.

La fine di Jeannette e Gabriella, si appresta ad essere un enigma mai risolto e inquietante della storia giudiziaria italiana, ha legato tra le sue maglie diversi casi ancora avvolti nel mistero piu’ cupo. Un vaso di Pandora profondo e senza risalita, incolmabile e oscuro al quale vengono stretti unitamente: il caso di Emanuela Orlandi, di cui si mormora che la Baronessa potesse essere stata testimone scomoda in qualche frangente del rapimento o dell’omicidio, emerge un legame mai chiarito con la banca Vaticana dello Ior, nella torbida figura del suo amministratore Marcinkus, di cui Jeannette si era fregiata di averne l’amicizia, non ultimo il legame di questi episodi con la nobildonna, consapevole o meno con la “Banda della Magliana,” tramite il suo esponente più illustre il boss De Pedis, certamente implicato in prima persona, nelle vicende che legano indissolubilmente questi casi, di li in poi indistinti e sovrapponibili. Dunque, richiami eccellenti e pezzi inaccessibili di storie ricollegabili tra loro, lavoro di ricostruzione svolto dal brillante giudice di Macerata ma che ha trovato la palude. La neve si sa, come nei grandi thriller ha coperto le tracce e i colpevoli se ce ne fossero stati, tanto da evocare solo ed unicamente un finale estremamente cupo. Ma i gialli intrigano proprio per questo no? Soprattutto quelli mai risolti.

Maria Grazia Vannini