Alitalia, passione perduta! I ricordi del Comandante Brunello a lungo al servizio della compagnia di bandiera

In queste settimane l’Alitalia sta vivendo il momento più difficile della sua storia. Commissariata dopo che negli anni sono stati sperperati 8 miliardi di denaro pubblico nel vano tentativo di rianimarla, ora alimentata artificialmente da un prestito ponte di 600 milioni, è alla ricerca di un compratore che la salvi dal fallimento. E i lavoratori di terra e di cielo, dopo anni di sacrifici, si trovano di nuovo davanti a un bivio drammatico: licenziamento o forte ridimensionamento della retribuzione. In ogni caso, il futuro è avvolto nelle nebbie. Abbiamo colto questa circostanza carica di rischi e incognite, anche per l’intero Paese, giacchè il destino di circa 12mila famiglie è appeso a un filo, per incontrare un comandante di lungo corso, Bruno Brunello, da tempo in pensione, che rievoca con una certa nostalgia la sua esperienza e commenta l’attuale grave situazione in cui versa la nostra compagnia di bandiera.

Comandante, cosa prova apprendendo che l’Alitalia potrebbe fallire?

Tristezza e amarezza. Ho dedicato molto a quell’azienda e da essa ho ricevuto altrettanto. E’ stata un’esperienza fondamentale per la mia vita e formazione. Ho girato mezzo mondo, avendo battuto sia le rotte a corto che a lungo raggio. Ho avuto il privilegio di visitare Paesi lontani, di ammirare paesaggi suggestivi e magici, come le aurore boreali del Nord America ai confini del mar artico o le sterminate distese verdi della Siberia. Viste dall’alto ci riportano a un’era selvaggia e primordiale del pianeta. Ho collaborato con bravi piloti, con cui ho condiviso migliaia di ore di volo e ho stretto amicizie inossidabili, che durano ancor oggi. Sono stato ai comandi di velivoli straordinari, dal Caravelle al Jumbo, che mi hanno fatto toccare con mano il valore della tecnologia, quella che cambia la vita delle persone e consente di raggiungere località in continenti lontani in alcune ore e non in settimane o mesi, come nel passato.

Tutte cose positive, ma allora come si è potuta produrre una crisi così grave come quella attuale?

Ai miei tempi, finchè ero in servizio – l’ultimo volo della mia carriera l’ho compiuto nel 1997 – le cose andavano meglio e l’azienda era in attivo. I problemi sono iniziati verso la fine degli anni ’80, essenzialmente per responsabilità del management che non ha saputo cogliere le opportunità offerte dal mutamento del mercato. Cosa che hanno fatto, invece, i vettori low cost come Ryanair. Avevamo l’Ati che poteva essere trasformata in una low cost ante litteram, appunto. Al contrario è stata lasciata fallire… Poi, si doveva puntare e investire sul lungo raggio e non soltanto sul medio e corto raggio. Oggi, come denunciano gli esperti del settore, nonostante i tagli pesanti e le discutibili alleanze, l’azienda è troppo grossa per il corto raggio e troppo piccola per il lungo, proprio dove si guadagna di più.

Riorna un luogo comune, però, secondo il quale voi piloti e gli assistenti di volo avete goduto di troppi privilegi. Avete guadagnato più del dovuto, appesantendo i costi aziendali…

E’ proprio un luogo comune, come dice lei. Noi guadagnavamo meno dei nostri colleghi di Air France, Lufthansa e British airways. Semmai, ripeto, sono stati gli sprechi e gli errori commessi dal top management ad appesantire i costi e a farci perdere competitività.

Lei ha parlato di ultimo volo. Se non ricordo male, è successo qualcosa d’incredibile in quell’occasione…

In effetti, ho vissuto alcuni momenti ad alta tensione che non scorderò mai. Quel giorno, il 1° novembre 1997, comandavo un Jumbo diretto da Fiumicino a Tokio via Milano (AZ788). Viaggiavo con 356 passeggeri, quasi tutti giapponesi, e 20 membri d’equipaggio. Eravamo a pieno carico, saturi di carburante. Una bomba potenziale in movimento. Da Roma a Milano, tutto Ok. Il guaio si è prodotto a Malpensa. Il Boeing 747-200 aveva iniziato la fase di rullaggio sulla pista per il decollo. Quando il motore era al massimo e la velocità oltre la possibilità di arresto, ho avvertito una sorta di scoppio e, a seguire, una serie ininterrotta di vibrazioni che impedivano di consultare il quadro dei comandi e di governare l’apparecchio. Intanto, all’interno si staccavano dal soffitto dell’aereo diversi pannelli metallici che hanno rischiato di decapitare numerosi passeggeri. Non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo. Pur vibrando, il Jumbo continuava la sua folle corsa. Ho dovuto prendere una decisione cruciale in una manciata di secondi: tentare la frenata o provare a decollare. Fortunatamente, ho scelto la seconda ipotesi. Ho tirato la cloche, sperando in un intervento del cielo… E finalmente, il bestione d’acciaio si è staccato dalla pista e mi sono trovato a galleggiare in aria.

Riuscivate a governarlo una volta in volo?

Sì, perché il problema era l’esplosione del pneumatico del carrello, il resto della meccanica funzionava. E’ stata poi la torre di controllo a dirci cosa era accaduto. Decidemmo allora di far rotta verso Roma e di svuotare i serbatoi in mare. Atterrammo dopo circa 50 minuti all’aeroporto Leonardo da Vinci senza particolari problemi. Sulla pista n. 3 ci aspettavano pompieri e autoambulanze. Ma non ci fu bisogno di alcun intervento. Tutti illesi, nessun ferito o contuso.

Lei ha fatto il miracolo, dunque. Mi viene in mente un’analoga vicenda accaduta in America nel 2009, raccontata da un bel film di Clint Eastwood ‘Sully’. Un comandante di jet con motori in avaria a causa dell’impatto con uno stormo di uccelli decide di ammarare sul fiume Hudson a New York, piuttosto che di tentare un pericoloso rientro alla base. Salva così tutti i passeggeri e diventa un eroe nazionale. Lei si sente un eroe nazionale italiano?

Assolutamente no. Ho fatto solo il mio dovere. E ho avuto anche una grande fortuna…

Ma dicono tutti così i veri eroi… La sua difficile e tempestiva decisione di non fermare l’aereo in corsa, che sarebbe andato a schiantarsi contro qualche barriera fuori pista, esplodendo e polverizzando l’esistenza di circa 400 persone, ma di spiccare il volo lo stesso, non era affatto scontata, mi sembra analoga a quella adottata dal capitano Sullenberger a New York e fu senz’altro coraggiosa. Ecco perché penso, al di là di ogni retorica, che lei sia davvero un eroe italiano. Come abbiamo visto, i tempi sono cambiati, ma cosa consiglierebbe a un giovane che oggi intenda diventare un pilota civile?

So che è una scelta più difficile del passato e che richiede molta tenacia e determinazione, ma se la passione è autentica, il giovane deve seguire la propria vocazione.

Aldo Musci