16 anni dopo: chi ha ucciso Serena Mollicone?

Da oltre 15 anni nuovi testimoni o indizi hanno fatto credere di poter mettere la parola fine al caso di Serena Mollicone, ma ogni pista si è rivelata falsa, spegnendo i riflettori sulla sua storia. Ma cosa è successo a Serena?

Serena era una ragazza di 18 anni, orfana di madre, che viveva con il padre al centro di Arce e frequentava l’ultimo anno dell’istituto pedagogico a Sora.

Sono le 7:30 del 1° giugno 2001 quando Serena esce di casa per effettuare un ortopanoramica presso l’ospedale di Isola del Liri; esattamente un’ora dopo alle 8:37 – come attesta la ricevuta di pagamento della visita – Serena esce dall’ospedale.

Alle 9:30 viene vista da un amico dinanzi ad una cartolibreria alla rotonda di Isola del Liri ed è l’ultima notizia certa che si ha di lei.

Alle 14 dello stesso giorno avrebbe dovuto incontrare il fidanzato a Sora, ma all’appuntamento Serena non si presenta.

Il ragazzo la chiama insistentemente al cellulare senza ricevere risposta, così preoccupato avverte suo padre Guglielmo che alle 21 denuncia la scomparsa della figlia ai carabinieri.

Dopo due giorni di angoscia , il corpo di Serena viene ritrovato in un boschetto, poco lontano dal paese: il volto è avvolto da del nastro adesivo bianco, coperto da un sacchetto di plastica, mani e piedi legati con il medesimo nastro e con un fil di ferro.

Accanto al suo corpo ci sono alcuni effetti personali: una tesina ed alcuni libri; mancano però la borsa, gli orecchini, i documenti, l’orologio, le chiavi di casa ed il suo cellulare.

Il 9 giugno il cellulare di Serena viene ritrovato in un cassetto in camera sua; i primi sospetti ricadono, in modo infondato, sul padre di Serena, Guglielmo, che viene prelevato mentre sta assistendo al funerale di sua figlia e condotto in caserma dai carabinieri.

Dieci giorni dopo, un’altra inquietante scoperta in casa Mollicone: in un cassetto viene rinvenuta una piccola quantità di haschisc; qualcuno sembra essere entrato di nascosto per la seconda volta nell’abitazione.

Nel  settembre del 2002 viene ultimato e consegnato il rapporto dell’Unità di Analisi Crimini Violenti della polizia; nel dossier i sospetti sono indirizzati nei confronti di un carrozziere di Rocca d’ Arce, Carmine Belli che la mattina del 1° giugno 2001 avrebbe dato un passaggio in auto a Serena alla fermata dell’autobus di Isola del Liri.

A febbraio del nuovo anno gli uomini della Squadra Mobile arrestano Carmine Belli; secondo gli investigatori sarebbe lui l’assassino di Serena Mollicone.

L’impianto accusatorio costruito contro Belli crollerà miseramente: il carrozziere sarà assolto in Corte d’’Assise, in secondo grado ed in Cassazione.

Indagini superficiali o perdurante ostinazione da parte degli inquirenti, anche in assenza di prove incontrovertibili?.

Gli indizi che una Procura raccoglie nei confronti di una persona che poi
ritiene di poter portare a giudizio, devono essere talmente corposi e collegati
tra di loro e di interpretazione non equivoca, ma di interpretazione univoca,
per cui in dibattimento quegli stessi indizi diventano prove.

Tutto questo nel caso Belli non è avvenuto; si potrebbe facilmente ipotizzare che in un fatto di cronaca come questo che ha colpito particolarmente l’opinione pubblica, ci si è affrettati a portare in giudizio qualcuno.

Ed allora chi ha ucciso Serena Mollicone?

Nel 2008 il brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi, che nel 2001 era in servizio presso la Caserma di Arce, viene ascoltato come testimone sul caso e  riferisce di aver visto quella mattina di giugno, Serena entrare in caserma alle ore 11.

Tre giorni dopo la deposizione, il sottufficiale dell’Arma si toglie la vita; nei giorni successivi al decesso avrebbe dovuto essere sottoposto ad un confronto con il suo ex comandante.

La morte di Tuzi si lega in modo inscindibile all’omicidio di Serena; cosa sapeva il brigadiere? A cosa aveva assistito quella mattina in cui vide Serena entrare in caserma, per fare cosa, denunciare che?

Anomalo è che in meno di 24 ore il decesso di Tuzi veniva archiviato come suicidio.

Trascorrono altri tre anni fino al 27 giugno 2011 quando cinque persone vengono iscritte sul registro degli indagati: l’ex maresciallo dei carabinieri di Arce Franco Mottola, suo figlio Marco, un altro carabiniere, Francesco Suprano, l’allora fidanzato di Serena, Michele Fioretti e la madre del giovane, Rosina Partigianoni che dovranno essere sottoposti all’ esame del Dna per confrontarli con gli elementi trovati sugli indumenti della vittima, sullo scotch e sul filo di ferro usato per legare il corpo.

Intanto la famiglia Tuzi, che ha sempre sostenuto che il sottufficiale non aveva motivi per uccidersi e che sarebbe stato istigato a spararsi un colpo al cuore, continua la sua battaglia affinchè emerga la verità, arrivando a depositare in Procura un’istanza nella quale vengono illustrate tutte le “anomalia” investigative commesse nel corso degli anni e che potevano apparire frutto di distrazione o superficialità ( e se invece erano errori predeterminati?)

La Procura della Repubblica di Cassino nel 2016 riapre le indagini per la morte del brigadiere come istigazione al suicidio e focalizza l’attenzione su alcuni dettagli che in precedenza non erano stati considerati; a convincere la Procura è anche la testimonianza rilasciata dall’ex donna  delle pulizie della caserma dei carabinieri che riferisce di aver visto Serena, il giorno della scomparsa, nella sala d’attesa della caserma mentre Tuzi era al corpo di guardia.

Ciò che sconvolge è che stiamo parlando della stessa donna (quest’ultima), collaboratrice domestica della famiglia Mottola, che nel giugno del 2001, ascoltata come persona informata riferiva di essere stata chiamata d’urgenza, nelle ore successive alla scomparsa di Serena, per pulire un alloggio disabitato posto a piano terra della caserma. Come si legge dall’ingiallito e mai considerato verbale dell’epoca, la signora Mottola chiese alla colf di pulire l’appartamento con acido muriatico.

Tale rilevante affermazione per anni è rimasta nell’oblio; un altro mistero nel mistero che ha contribuito a rallentare il cammino delle famiglie Mollicone e Tuzi verso la verità.

Le parole della colf costituiscono un atto di estrema importanza, al punto da essere inserito nell’opposizione all’archiviazione e ritenuto essenziale per l’ordinanza di proroga delle indagini, dove il gup punta l’indice sui motivi per cui un appartamento vuoto e in disuso avrebbe dovuto essere pulito con una sostanza tanto alterante, considerato che l’acido muriatico è l’unico elemento chimico in grado di eliminare tracce ematiche.

Le indagini, quindi, ripartono serratamente dalla caserma, di cui l’ex comandante, il maresciallo oggi in congedo, Franco Mottola, la moglie e il figlio, sono gli unici tre indagati per la morte di Serena; nei loro confronti, la Procura di Cassino ha aperto un fascicolo per omicidio volontario e occultamento di cadavere.

La Procura ed il Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri vogliono l’assassino di Serena Mollicone; della correttezza e scrupolosità delle indagini che si stanno compiendo ne dà atto anche il papà di Serena, Guglielmo, che ha sempre sostenuto – in virtù anche dell’abbigliamento asciutto rinvenuto sul corpo di Serena – che la figlia fosse stata uccisa altrove e trasportata nel boschetto, suggerendo di cercarne le tracce nel carcere di Arce.

Si ha l’impressione che la nebbia intorno a questo mistero italiano si stia pian piano diradando: evidentemente Serena voleva denunciare o segnalare qualcosa di grave (droga? O altro?) e per questo si è rivolta all’ufficio/autorità all’uopo preposto sul territorio, non sapendo che proprio quel luogo, simbolo della giustizia, della legalità e della protezione del cittadino, verosimilmente coinvolgeva nel suo interno proprio ciò che Serena voleva denunciare.

Cercare la verità è l’unica cosa ancora in nostro potere… e continueremo a farlo per noi e per chi merita giustizia.

Carla Santoro