Caso Marta Russo: ma allora esiste davvero il “delitto perfetto”?

A volte le insidie del caso, non essendo partecipate direttamente da chi ne viene imbrigliato e imprigionato, rappresentano vere e proprie conferme, che del destino non ci se ne libera, soprattutto se scomodo o maggiormente sconvolgente. Non so se renda bene l’idea di un qualcosa, in cui nessuno vorrebbe incespicare, eppure succede. Cosa può  accadere di peggio ad un essere umano, tra le tante insidie sempre in agguato, se non l’assassinio di un figlio? E’ del tutto giustificato dunque, comprensibile oltremodo, che un genitore colpito da una tale disgrazia e  in maniera tanto disumana, nutra l’unico sano desiderio possibile: vedere assicurato alla giustizia chiunque abbia compiuto un tale gesto, lasciandolo privo dell’affetto più genuino, puro e immacolato dell’esistenza terrena. Ma a volte il colpevole risulta difficile o addirittura impossibile da trovare, i meccanismi del fato sono materia indecifrabili, lo abbiamo  potuto appurare  troppe volte, e queste persone a cui è stata espropriata una vita normale, si accontentano di un colpevole supposto, qualche volta non necessariamente accertato, una specie di parafulmine che intercetti il loro odio e lo plachi. Si aggiunge così caso al caso, nel deprecabile e drammatico evento di ricostruzione del delitto, quando chi svolge il lavoro di ricerca per risolvere la situazione, sono inquirenti che brancolano nel buio o nel più totale sconcerto provocato da eventi inattesi. Torna alla ribalta a questo punto un caso che fece storia, l’omicidio di Marta Russo, la studentessa romana, uccisa il 14 maggio del 1997 all’interno dell’area universitaria”La Sapienza” a Roma. Durante quel processo che vide colpevoli due persone che furono condannate, uno dei quali Giovanni Scattone. All’epoca dei fatti  il proiettile di “una pistola” colpì la povera Marta Russo che stava camminando a fianco di un’amica nei vialetti della Sapienza. Impossibile dopo mille peripezie e indagini effettuate stabilire la traiettoria  esatta di quel proiettile, ma soprattutto impossibile da trovare un movente certo, perchè, un brillante professore avrebbe boicottato la sua sfavillante ascesa ad una prestigiosa cattedra in quella stessa università, per stroncare la vita di una studentessa molto diligente? Sarebbe però stato inaccettabile che da questa vicenda accaduta in una giornata di primavera, contro una donna di buona famiglia e inerme, non fosse emerso  almeno un responsabile. Così se ne trovarono ben due, Scattone e Ferraro, entrambi assistenti di Filosofia del diritto. Lavoravano nell’istituto che aveva sede lungo il vialetto della morte, così chiamato dopo l’assassinio della studentessa. Si trattava, allora, di ragazzi non  troppo aderenti al” Politicamente corretto”, che a quel tempo e in quella università risultava essere di gran moda. Scontata la  pena, a Scattone è stata offerta una cattedra, a cui però ha istantaneamente rinunciato, dopo averla regolarmente vinta, partecipando ad un concorso. E’ stato accertato da indagini giornalistiche assolutamente di spessore che,  sebbene in cattedra alla Sapienza siano saliti delinquenti di tutti i tipi, tra cui pluri assassini, terroristi mai ravveduti, truffatori e ladri, corrotti e corruttori, per  il professor Scattone, una  gran parte dell’opinione pubblica italiana, sia inorridita, suonando e attivando tutte le “Trombe dell’intellighenzia di sinistra”, che mai ha perso l’occasione di tacere a tal proposito. Ai fuochi d’artificio sui media  si sono succeduti nel non appurare i fatti con estrema precisione, come da copione che campeggia con la scritta su tutti i tribunali “La legge è uguale per tutti”: procure incapaci, pm sotto i riflettori delle televisioni e dei giornali, inquirenti poco dotati nel rispettare tempi e protocolli e chissà quali diavolerie e con iter assolutamente fuorvianti, fatti di clamorose amnesie investigative, o defaillance inattese con omissione di attività illuminanti e soprattutto chiarificatrici. Una bella pietra da cimitero, posata su procedimenti  penali  che con un impianto accusatorio di quella portata, cioè quasi nullo, avrebbero dovuto svoltare a destra, prima  di varcare  qualsiasi porta di tribunale. La ricostruzione delle vicende di quel delitto  farebbe innervosire qualunque investigatore, dal meno dotato a quello piu’ capace, mentre  allora si stabilì che i due avevano sparato a Marta, addirittura sotto gli occhi di almeno due testimoni: un bidello della facoltà e un’impiegata giunta provvidenzialmente. Il movente? Non l’hanno mai trovato. Vincenzo Pezzuto, uno dei più valenti giornalisti d’inchiesta italiani, seguì la vicenda fin dalle prime battute. Nel corso degli anni ha continuato a valutare e studiare questo caso nei minimi dettagli fino a ricavarne un libro, che però malauguratamente non riesce a trovare ancora oggi un editore, in quest’ epoca in cui la ricostruzione dei gialli  ha un gran consenso  tra i lettori. Auguriamo a Pezzuto di trovare almeno un produttore, che di questa vicenda tanto decantata e sotto tutti i riflettori dell’epoca possa tramutarsi in un film, magari dossier. Senza un movente accertato o apparente, tutto il clamore scatenatosi su questo caso, in fondo, forse è servito in ultima analisi, solo a dimostrare che. il delitto perfetto esiste sul serio…

Maria Grazia Vannini