Giovanni Pastore, amministratore di società attive nel settore immobiliare, prima di fare l’imprenditore ha collaborato per alcuni anni all’Università di Genova, tenendo corsi e seguendo tesi di laurea con il Prof. Raimondo Luraghi, grande storico e, forse ancora più importante, grande testimone della storia (ufficiale nella guerra, comandante del presidio al colle di Tenda nell’estate del 1943, partigiano azionista della prima ora). “Memorabile il suo racconto di quando, da fine agosto 1943, vedeva, dalla fortificazione di Tenda, i carri armati e le truppe tedesche passare dalla Francia occupata all’Italia – racconta Pastore -, senza riuscire a trovare nei comandi militari qualcuno a cui riferire e ricevere ordini sul da farsi. A volte ho la sensazione che la classe dirigente italiana non cambi mai, nella sostanza delle cose”. Nel settore immobiliare dal 2000, amministra SPA molto capitalizzate.
Vuole spiegarci, a partire dalla sua esperienza personale, il complicato rapporto oggi esistente tra imprenditori immobiliari e banche?
La maggior parte delle imprese immobiliari che hanno iniziato ad investire nel 2007 e nel 2008 si trovano oggi in grosse difficoltà. Nel 2011, con la crisi dello spread ed il conseguente credit crunch, gli immobili costruiti grazie ai finanziamenti bancari – che coprivano normalmente il 70-80% circa del costo di produzione – oggi valgono molto meno del mutuo stipulato per la loro stessa costruzione. Nel 2012 le banche hanno reagito alle loro difficoltà cercando di scaricarle sugli imprenditori, in particolare su quelli del settore immobiliare. Le società da me amministrate sono così entrate in conflitto con alcune banche ed è risultato naturale per me reagire con la contestazione giudiziaria delle loro pretese. Nel frattempo le banche hanno messo i nostri debiti a sofferenza. Si è aperto un contenzioso che ha portato alla fine ad un risultato non dissimile da quello auspicato in un interessante articolo (http://www.wallstreetitalia.com/opinioni/condono-bancario-utile-per-tutti-ce-anche-precedente/) dall’avvocato Dino Crivellari, il quale calcola che le banche su 200 miliardi di sofferenze abbiano già considerato ed ammortizzato nei loro bilanci una perdita del 60% e valorizzino il recuperabile al 40% del monte totale sofferenze, i cosiddetti NPL (Non Performing Loans). Il ragionamento di Crivellari, grande esperto del settore essendo stato per molti anni Amministratore Delegato di UniCredit Credit Management Bank, la più importante banca italiana specializzata nel recupero crediti, è molto chiaro: le banche, tramite un condono bancario dovrebbero portare a casa da sé medesime gli 80 miliardi, concretamente recuperabili (il 40%) invece di cedere questi NPL ai fondi speculativi.
Quali sono i motivi di base di questo condono?
Il motivo è molto semplice: se il fondo speculativo ha pagato il 20% del valore (che è ciò che offre concretamente alle banche), quando avrà recuperato il 40%, avrà già avuto un margine del 100% (enorme!) e quindi potrà essere disposto ad aderire ad accordi transattivi che premierebbero i tempi di recupero a discapito del conseguimento del massimo recuperabile.
E’ una strada praticabile?
E’ esattamente quello che oggi stanno facendo le società da me amministrate e molte altre che rientrano nell’1% dei debitori che ha il 50% del debito: offriamo alle banche e transiamo al 30-40% crediti ottenuti nel momento in cui il mercato tirava e che oggi è impossibile restituire. Si tratta comunque di somme molto superiori a quelle che gli stessi istituti otterrebbero forzandoci ad un esito fallimentare.
Dottor Pastore, il suo ragionamento a questo punto mi sembra esuli da un discorso relativo ai problemi delle imprese da lei amministrate per spostarsi su un piano più generale…
In momenti storici come quello che stiamo vivendo, passati 8 anni della più lunga crisi economica dopo quella degli anni 30 del secolo scorso, ritengo sia necessario, a partire da chi fa impresa, proporre soluzioni paragonabili a quelle trovate durante il New Deal rooseveltiano. E’ necessario partire cioè dal dato di fatto che un’epoca è finita e non si può ripartire, con una nuova fase di sviluppo, portandosi dietro la zavorra degli errori passati, errori peraltro derivanti dall’applicazione di regole che si sono poi rivelate sbagliate alla radice. Ritengo, sulla base della mia esperienza, di poter proporre alcune idee per le “regole” di questa auspicabile nuova fase di sviluppo.
Francesco Bellofatto
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